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Asilo Ricasoli: eravamo giovani, eravamo piccoli, eravamo po
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Argentario Futuro
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 12:11 am    Oggetto: Asilo Ricasoli: eravamo giovani, eravamo piccoli, eravamo po Rispondi citando

Asilo Ricasoli: eravamo giovani, eravamo piccoli, eravamo poveri.

Il grande spazio di terra battuta davanti all’asilo era occupato dalle nostre evoluzioni.
Sembravamo uno stormo di uccelli migratori: ci muovevamo a piccoli gruppi.
Lo “stormo” si riuniva, poi, come in un esplosione, si frantumava. Sparpagliamento, chi si ‘posava’ vicino al ‘piscietto’, chi andava vicino al carrubo, altri verso il ‘camposantino’: sempre gli stessi ma sempre diversi.
Quaranta bambini sotto gli occhi attenti di suor Rosa, la Superiora.
Assaggiavamo il sapore dello stare insieme. Porto Ercole era ancora piccolo, aveva un senso ma ognuno di noi praticava zone imposte dalle nostre famiglie; chi il Ghetto e tutta la zona di Monte Filippo, chi Porto Ercole vecchio, chi le campagne, qualcuno della Sanità.
Le nostre piccole bande trovavano all’asilo l’opportunità di fare “paese”, fuori da vecchie convenzioni, da ‘vestitineri’ urlanti, da guerre familiari che duravano da un lutto all’altro, da finti e ipocriti pudori, da storie picaresche, da “Santerasmonostropatrono” che ci faceva sentire un’entità territoriale e spirituale per due giorni. E poi piccole invidie, grandi musi e pochi sorrisi.
Eravamo tutti poveri e ci dividevamo per una ‘fratta’.
Guardando oggi, da lontano, quei bambini che ‘liberamente’ scorrazzavano nel piazzale sterrato dell’asilo, lasciando tracce celesti o rosa a seconda del sesso, vedo ancora la gioia del momento ma la nostalgia di un’occasione perduta.
Quei grembiulini a quadretti, lontani nel tempo degli anni ’50, sembrano tante pagine di parole crociate, a schema libero.
Ognuno di noi avrebbe dovuto riempire quelle caselle con le proprie esperienze e lo stare insieme avrebbe dovuto aggiungere parole nuove al nostro schema di vita.
Tante di quelle pagine sono state strappate dalla sorte che ha voluto che lo schema non venisse mai finito: ricordiamo, in silenzio, i loro nomi e quella gioia che non hanno potuto trasmettere per intero ai loro figli. A loro è rimasto il dolore di una cosa non finita ed a noi la nostalgia e l’impotenza di una cosa non fatta.
Ed il rimprovero dei nostri figli per l’incapacità di dare un nuovo senso a questo Paese.
Ed abbiamo raccontato, quasi a scusarci, che la nostra ‘libertà’ finiva al clapclap delle mani della superiora: in fila per due ed in silenzio a lavarsi le mani e poi seduti a braccia conserte.
Si mangiava su piccole tavole sedendo su piccole sedie. E quando la tu’ mamma ti avesse mai chiesto " Cosa avete mangiato?". avresti risposto, sempre " Minestra co’ niente".
I “padrenostrini” ci uscivano dagli occhi e non riuscivamo mai a capire gli altri ingredienti.
Silenzio era la parola più ascoltata, anche quando ti portavano nella grande sala con palco e proscenio e, facendoci sedere su piccole sedie ti dicevano, le suore, di appoggiare la testa su piccoli banchi e “ Silenzio, si dorme”: la superiora si metteva seduta dietro la cattedra e vegliava sul nostro ‘sonno’. Con una bacchetta lunga e dolorosa che non ha mai smesso di funzionare, le nostre dita la conoscevano molto bene.
Eravamo liberi di ‘non protestare’. Una volta feci presente alla superiora che mio fratello più piccolo si era mangiato tutte le fave che avevamo per merenda: mangiavamo quello che ci dava l’orto, eravamo poveri. Quando riuscivamo a mangiare il surrogato di cioccolato era festa: vedere Leontina tagliare quelle fette marroni, che sembravano di cioccolato vero, ci faceva luccicare gli occhi e l’acquolina aveva il sopravvento.
Era il mese di maggio, mese della Madonna, dei somari, delle rose e delle fave.
Mi toccò in castigo, con le dita doloranti e ‘incatugnato’ sotto la cattedra dove siedeva la superiora mentre gli altri dormivano: non so come spiegare l’odore di ‘mucido’, di muffa e di vecchio che usciva dal modulo suora-sedia.
E le statue di Madonne, Santi, PoveriCristiinCroce ci venivano additate come ammonimento: attenti, l’infernooooo!
Il parroco, quando veniva all’asilo, ci diceva sempre, in modo autistico, " Bambini, non vi toccate, è peccato !!!. E mentre le suore, colpite da conoscenza e da rossore, si ritiravano come lumache nel guscio sfregando le mani alla brunovespa, noi continuavamo a non capire.
Eppure ci guardavano sempre quando giocavamo all’aperto, ci potevamo dare delle spinte, ci toccavamo come si fa giocando a ’fuggeggè’, a ‘toccolonna’: ‘tanaliberitutti’ ancora non era entrata nei nostri strumenti di gioco.
Eravamo diventati “bugiardi” come lo sono tutti i bambini che vogliono difendere le cose a cui tengono e che, spesso, la società di allora (?) ai vari livelli non riteneva congrue all’interno di uno schema noioso, ipocrita e senza fantasia. D’altronde la società non è mai stata ‘giovane’ per cui le idee, le nostre piccole scoperte, la voglia di scoprire ed apprendere cose, le esperienze di vita rompevano lo schematico trantran quotidiano di una società bloccata da dottorifarmacistiepreti e genitori.
Molte delle parole sul nostro grembiulino sono state scritte da noi sotto l’effetto di messaggi subliminali e materiali, altre da atteggiamenti maliziosi intesi ad inculcare il sentimento della paura.
Attenti all’inferno!!!! Parole distorte hanno governato la nostra crescita ed il nostro inserimento nel mondo dei grandi e tutto doveva apparire normale: troppe volte abbiamo fatto una cosa sapendo che l’opposto sarebbe stata la cosa giusta, ma tant’è.
Però… ecco questo è un segreto, per cui lo dico e lo scrivo a bassa voce e mi raccomando…acqua in bocca.
La suora, la superiora spesso ci chiedeva cosa facessimo là, sotto il carrubo, con quelle operazioni di scavo continuo.
Noi la convincemmo che stavamo cercando un tesoro, mentre ci guardavamo, noi, controllando che tutti dicessimo la stessa cosa. Sssssss….il dito indice sulle labbra nel segno della bugia.
Cosa facevamo? Vabbè, dopo sessantanni è giusto sapere.
Per tre anni abbiamo scavato una fossa nella terra colorata da scisti verdiblu e bianchi per seppellirci uno dei nostri amici, il più dimesso, il più timido ed, a tuttoggi, una persona dolce , rispettosa e ‘cenefossero’. L’ho detto; questo peso che avevo non graverà più sulla coscienza di un ex-bambino con il grembiulino a quadretti.
La suora, se sarà in paradiso, lo verrà a sapere ora, magari sorseggiando un caffè Lavazza.
Le vorrei dire una cosa però, questa " Suor Rosa, la tua bacchetta e le tue statue non ci hanno intimorito. Questo nostro segreto non l’hai mai scoperto; d’altronde non ti dovresti meravigliare, abbiamo imparato bene il messaggio. Dei bambini piccoli e deboli erano, potevano essere sopraffatti dalla protervia e dall’ipocrisia, da Te e dalla tua bacchetta; ci siamo sentiti grandi e, facendo tesoro degli “insegnamenti”, diventammo un piccolo mucchio selvaggio, abbiamo trovato anche noi il nostro debole da angustiare, da esorcizzare".
La fossa non venne finita perché sotto lo scisto c’era la roccia, eppoi la nostra era una cattiveria d’accatto, senza metodo e prospettiva. Saremmo andati alle elementari fra aste e pennini a croce.
L’asilo sarebbe rimasto, per altri bambini.
Ma un giorno successe una……………
Fine prima parte
A più tardi
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Cardellina
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 12:29 am    Oggetto: asilo ricasoli una volta Rispondi citando

Nà curiosità....ma le dita non ti fanno male? Wink
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 12:42 am    Oggetto: Rispondi citando

non ci fare stare sulle spine, fai presto ha publicare la seconda parte.
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 7:54 am    Oggetto: Rispondi citando

Bel racconto ...
ma dove lo mettiamo, creiamo una sezione apposta?
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 11:20 am    Oggetto: Rispondi citando

Che faccio lo pubblico sulla rivista?
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 12:07 pm    Oggetto: Rispondi citando

Bravo Paco,non sarebbe un idea sbagliata!!! Wink
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PER OGNI DUBBIO C'E' UNA PORTA CHIUSA,MA OGNI PORTA HA LE SUE CHIAVI!!!!!

ARMADA INVINCIBLE DELL'ACQUADOLCE VINCITORI DELLA CACCIA AL TESORO 2008 E 2014!!!!

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Morgana
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 1:10 pm    Oggetto: Re: asilo ricasoli una volta Rispondi citando

Cardellina ha scritto:
Nà curiosità....ma le dita non ti fanno male? Wink

E' una grande fortuna che non gli facciano male le dita...almeno leggiamo qualcosa di bello! Very Happy
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 2:25 pm    Oggetto: Rispondi citando

Che "penna".... Wink Wink
Dai non ci puoi lascià così sulle spine!!!
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 4:37 pm    Oggetto: Rispondi citando

e' stato il primo centro di aggregazione dove sono stato visto l'eta' dell'epoca naturalmente....era un ambiente pulito sobrio e soprattutto aperto e con gli amici di aalora quanta grina ci siamo mangiati... vero tex jacksette etc.......i primi scivoli le prime partite a pallone le prime preghiere e la pasta in brodo di suor speranza
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 5:01 pm    Oggetto: Rispondi citando

EH già....
e dove AF "seppelliva" il suo compagno (disgraziati delinquenti Very Happy Very Happy ) noi prendemmo la "processionaria" te lo ricordi Zoff???
Ciao J7
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 5:13 pm    Oggetto: Rispondi citando

diciamo che noi jacksette siamo stati fortunati prima l'asilo le partite alle scuole elementari con l'under 13poi il grest con la persona magnifica e insostituibile di nome don alberto che ti faceva andare in chiesa per il piacere di ascoltarlo e nn per forza
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MessaggioInviato: Mar Giu 08, 2010 8:19 pm    Oggetto: Rispondi citando

noi a virginia la nipote di carletto lo zoppetto l 'avemo seppellita davvero.mamma mia ke tempi Very Happy Very Happy Very Happy Very Happy
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MessaggioInviato: Gio Ago 19, 2010 1:29 pm    Oggetto: Asilo Ricasoli: eravamo giovani, eravamo piccoli, eravamo po Rispondi citando

Scusate il ritardo, ma l’estate non invita : con questo attaccaticcio.

Seconda parte

Ma un giorno successe una cosa nuova.
Stavamo insegnando ai più piccoli, d’altronde noi eravamo già grandi con i nostri cinque anni, come si fa a mangiare i ‘butti’ dei rovi. Sì, quelli dove crescono le more.
Avevamo imparato a distinguere i rami nuovi portatori di frutti da quelli che servivano a fare ‘fratta’.
Con il senno di poi era come insegnare a vivere la vita pulendola dalle asperità, dalle ferite e dai dolori e dove la vita di ognuno di noi era rappresentata dal giovane germoglio che avremmo dovuto liberare dalle spine per poi mangiarne l’anima succosa, anche se un po’ ‘allappante’.
Bisognava trovare il punto dove la parte più legnosa del rovo, verso la cima, diventava morbida passando dal color vinaccia ad un verde pesante.
Dovevamo tirare a noi il rovo intero con un legno-gancio e togliere le spine fresche nella parte più verde prendendole fra il dito pollice e l’indice e girandole, con lo stesso movimento che si fa quando si puliscono il fagiolini a cui si tolgono le estremità per poi farli in tegame con lo spezzatino. Era facile.
Tenendo il ramo dalla parte verde ripulita, dovevamo levare, con molta attenzione le prime due spine, quelle dure e pericolose, della parte color vinaccia. Il movimento era lo stesso, queste si levano con un piccolo schiocco. A questo punto due dita nella parte legnosa, due nella parte verde, si piegava il ramo che si rompeva: a noi rimaneva la parte fresca, con le barbe della corteccia penzoloni.
Tirando giù le barbe si liberava l’anima del germoglio, fresco alla vista e succoso in bocca.
Dunque, stavamo , a questo punto, gustando le delizie del rovo quando sentimmo il clap-clap del padrone: la superiora ci chiamava a raccolta.
Obbedire, correre con gioia o almeno dimostrarla.
“ Sì, signoooora superiora, Dìo sia loodàtoo” , il coro di noi bambini era perfetto e ruffiano, non ci potevamo permettere di mostrare un dubbio di tonalità e coralità.
D’altronde cercavamo di essere uno meglio dell’altro, fra noi c’era una sfida nel cercare il sorriso di apprezzamento della suora e, magari, uno scappellotto di incoraggiamento.
“Sempresialodato, su in fila per due nel dormitorio e….silenzio! ”. La suora, dopo aver detto in un sol fiato la formula di rito, si mise alla testa del piccolo plotone e si avviò verso lo stanzone con proscenio, con passo veloce.
A proposito, avete mai visto camminare le suore del 1953: ogni passo corrispondeva a mezzo piede e camminavano dritte come fusi, alta frequenza di passi, schiena dritta; insomma come pinguini, ma senza ciondolare. La superiora, perché era la superiora, ‘portava’ un passo lungo, un piede, ma velocemente.
Con quel modo di andare un po’ meno pinguino, ci portò nella sala dormitorio.
Sguardi sorpresi incominciarono a cercare di incrociare altri sguardi per cercare di fare un punto della situazione che si stava creando.
I bambini sono abitudinari ed i fuori programma, se non li decidono loro, debbono aver la possibilità di digerirli e, soprattutto, non riescono a capire il perché dell’interruzione di un gioco: come i piloti che passato il fuso orario debbono recuperare il jet-lag, a noi sarebbe mancata un’ora di gioco, chi ce l’avrebbe restituita?
Pensieri e preoccupazioni in libertà mentale in un ambiente chiuso era l’unica cosa che ci potevamo permetterci.
“Tutti ai vostri posti…..e silenzio”, disse la superiora, “sabato sarà l’ultimo giorno di asilo e abbiamo deciso di fare, con l’aiuto dei vostri genitori, una recita, si…una farsa… insomma hanno preparato una commedia fra di loro e la faremo qui, in questo salone”, indicando con la mano, che spaziava a 180°, tutta l’area mensa-dormitorio.
Mentre ancora la nostra mente era impegnata a metabolizzare i giochi non finiti, questa ulteriore notizia indusse i nostri occhi alla sorpresa ed a una domanda inespressa, “Qui, dove, come, fra sedie e tavoli da pranzo e da sonno?”
“ Non c’è da stupirsi, dopo mangiato divideremo le sedie, che metteremo in fila là, davanti al palco, dai tavoli che metteremo in fila dietro a mo’ di sedie” disse la Superiora che ci appariva altissima, ritta sulla cattedra già sospesa da terra, Suor Gulliver e noi, i piccoli abitanti di Lilliput e Blefuscu.
Un “Ghiavola!!!” ci girò nella mente che cercò di liberarsi di tutti i dubbi ostili, vista la capacità di Suor Gulliver di leggere domande ‘inespresse’.
“ Là, su quel palco, ci sarà la recita” disse suor Rosa, con la bacchetta, madre di tanti dolori e che sembrava la spada all’attacco di ‘avantisavoia’, indicando lo spazio in fondo, dalla parte opposta della cattedra, mentre una trentacinquina di teste si giravano all’unisono verso quello spazio sconosciuto e, per noi, misterioso.
Le suore-pinguino stavano slegando una corda che teneva fermo un tendaggio che copriva, verso l’alto, quella parte della sala.
Il ‘tendaggio’ era composto due tende, probabilmente un regalo di qualche benefattrice che si voleva disfare di quello scampolo, che le suore avevano usato per coprire un enorme deposito di roba di risulta, utilizzata negli anni precedenti dai bambini che ci avevano preceduti.
Sedie sbilenche, ricordi di una cattedra, una lavagna con mezza pietra, l’altra era per terra, banchetti malandati, un rotolo di stoffa rossa sporcata dalla polvere staccatasi dalle pareti e dal soffitto, un mobile il cui soffietto pendulo mostrava una bocca nera con qualche carta che aveva resistito negli anni di abbandono, attaccapanni grigi senza i ‘pirozzoli’, gettati alla rinfusa, lampadari da cappella con bracci da cui pendevano le lampade disarticolate, secchi e manici di scopa, una specie di canterano con forti disegni d’intaglio sugli sportelli e sacchi da cui uscivano abiti usati.
La superiora rimase basita e questo dimostrava da quanto tempo nessuno entrava in quel luogo.
Dalla porticina che dava l’accesso entrò un’altra sorella, così si chiamavano tra loro, per prendere coscienza di quel palco trasformato in ripostiglio e da cui trasse una scaletta in legno, che era servita negli anni per accedere al palco dalla parte frontale e sarebbe servito per l’occasione, e la certezza che ci sarebbe stato da lavorare parecchio. E domani era vicino.
Noi non avevamo più mosso il nostro sguardo da quel luogo che aveva perso il suo mistero per assumere le fattezze del caos e del disordine.
Forse la consapevolezza che la visione di tutto ciò, dopo aver turbato lei, avrebbe indotto in noi un senso di disillusione rispetto alla macchina perfetta del suo asilo, la fece uscire da quello stato di trance e, recuperando il suo vigore, battendo la bacchetta sulla cattedra per attirare la nostra attenzione disse “ … E dopo fatto lo spostamento, oggi non dormirete e potrete stare fuori fino all’ora di uscita” e scuotendo la testa con un bofonchiare veloce che non aveva la struttura di una preghiera ma di improperi lanciati verso chi sapeva lei, scese dalla cattedra.
“Tutti fuori a giocare e … buoni, mi raccomando!”, facendo segno di uscire dal salone riuscì anche ad accarezzare la testa di qualche bambino.
“Si, signooora superiora, Dio…..”
“Vabbene, sempre sia lodato” disse anticipando la formula di rito.
La rabbia che aveva dentro l’aveva fatta diventare meno formale e buona, sì, buona.
Riuscimmo a capire che il tempo del sonno abbonato ci avrebbe fatto recuperare i giochi interrotti e questo ci faceva felici, anche se l’ultima mezzoretta ci aveva fatto capire che anche certi “rovi” che sembrano irti di spine taglienti dentro hanno più dolcezza delle spine che mostrano.
Ci guardò un attimo, la superiora, con gli occhi che sembravano umidi, poi fece una piroetta e si diresse verso l’interno dell’asilo con un passo che non era quello flemmatico di sempre.
Fine seconda.
La terza e ultima parte a breve, molto breve.
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MessaggioInviato: Gio Ago 19, 2010 3:27 pm    Oggetto: asilo ricasoli Rispondi citando

Curiosità....chi ci stà dormendo adesso?
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MessaggioInviato: Gio Ago 19, 2010 8:08 pm    Oggetto: Rispondi citando

A.F ma quanto mi garberai. Wink
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MessaggioInviato: Ven Ago 20, 2010 8:35 pm    Oggetto: Rispondi citando

Grande A.F ancora non ho letto la seconda parte ma mi hai fatto venire in mente 3 cose:

I PATERNOSTRINI AL SUGO che buoni così non li ho più mangiati
UNA MEGA CAZZOTTATA CON ERCOLE che non ho più rivisto, nella ghiaia del piazzale e la suora (suor Baldina) a spartirci
IL PUZZO DI PISCIO dei bagni........inconfondibile Very Happy Very Happy Very Happy
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MessaggioInviato: Ven Ott 01, 2010 9:46 pm    Oggetto: Rispondi citando

che bella infanzia ho trascorso all'asilo ricasoli. C'era mia cugina che si mangiava fogli di quaderno e poi di corsa in bagno perchè se la faceva sotto!!!
Chi si ricorda di Suor Immacolata?
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MessaggioInviato: Lun Ott 04, 2010 11:09 am    Oggetto: Rispondi citando

io ci sono stata un anno solo, avevo 2 anni. Non ricordo i nomi ma ricordo il piazzale e l'interno, era un luogo bellissimo!
Ricordo bene le feste di carnevale!!
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MessaggioInviato: Lun Gen 31, 2011 9:50 am    Oggetto: Rispondi citando

Terza parte asilo
Le suore dovevano parlare sempre con voce sommessa perché, ci diceva suor Agnese, non erano le orecchie che bisognava convincere ma l’anima e l’anima è molto timida ed è molto più sensibile ad un consiglio sussurrato che ad una verità urlata.
Ordini, secchi e schioccanti, arrivarono dal portoncino socchiuso: le grida presero il sopravvento sui sussurri, d’altronde la piroetta non denotava niente di buono.
“ Vi pare possibile fare queste figure, non c’è ordine morale se non ci predisponiamo ad un ordine materiale rispetto alle cose che facciamo. Qual è la nostra attendibilità quando predichiamo il rispetto dei luoghi e delle cose, e poi, Noi e dico NOI, ‘impestiamo’ i luoghi con il nostro disordine!!!”, - strepitava la superiora verso le suore,- “ Domani è vicino e non possiamo permetterci di fare brutta figura, liberiamo quel palco e cominciamo a pensare come rimediare tutto quello che ci serve: magari dovremo chiamare i genitori…..”.
Era una furia, sarebbe stata improvvida qualsiasi replica da qualunque parte venisse.
“ Scusami, sorella superiora”- abbozzò suor Agnese, d’altronde era la più vecchia e un po’ di rispetto era insito nella storia della sua persona – “… ma dobbiamo preparare da mangiare per i bambini, sono le undici e fra poco….”.
Non era giornata, neanche per suor Agnese, - “Fate quello che vi dico, senza cercare scuse o altro: non si cucina, per il mangiare ci penso io !”,- disse suor Rosa, uscendo, ‘inciafata’, dalla porta che dava sulle scale che portavano verso Viale Caravaggio, tenendosi la sottana e tirandola verso l’alto per non inciampare. Divorò le scale e la sua cuffia bianca sparì in un attimo là, verso il cancello del Giardino Corsini.
“ Chiamo i genitori e non si cucina” furono le parole che ci preoccuparono, mentre riprendevamo i nostri giochi: il parlare di genitori prevedeva, fra le varianti, punizioni per nostri comportamenti e, comunque, mangiare bisognava.
Noi, i più grandi, fummo subito distratti dalle incombenze dei passaggi di consegne, a cominciare dalla fossa che in quasi tre anni non eravamo riusciti a scavare per dare seguito al progetto ‘inumatorio’: il nostro buon amico poteva stare tranquillo perché il suo corpo non sarebbe giaciuto all’ombra del carrubo.
Decidemmo che sarebbe stato meglio ricoprire la mezza fossa per non continuare a dare un cattivo esempio; intanto alcuni più piccoli cercavano di mettere in atto quanto appreso nella pulizia dei rovi a fini alimentari.
Uno piangeva, tenendosi il dito sanguinante ed era la dimostrazione che non aveva capito che i rami con i frutti non erano commestibili: gli era rimasto in mano la cima di un rovo con tante drupe di more ancora verdi e tante spine.
Là, verso il “piscetto”, una bambina piccola era caduta e si era sbucciata un ginocchio; frignava come se le fosse cascato il mondo addosso.
Giuliano, uno di noi grandi, molto ‘sensibile’ alle lacrime altrui, si avvicinò alla bambina, la portò sotto l’acqua del rubinetto pulendo quel po’ di terriccio che era ancora attaccato alla sbucciatura e, con fare finto gentil,e le disse “ Ora sputati in mano e metti lo sputo sul ginocchio…..e non miagolare per niente”. Psicologia e lisozima di Fleming…. il silenzio dalle parti del piscetto.
Intanto due piccignaccoli avevano ricominciato a scavare la fossa sotto il carrubo: che mondo ci aspettava con questi giovani che non capivano e non rispettavano le decisioni dei più grandi e dei più ‘saggi’, visti i tre anni di asilo ?!
Lontano, le campane di S. Erasmo suonavano il mezzogiorno, non ci facevamo caso spesso, anche perché a quell’ora stavamo mangiando: appunto, ma il mangiare?
I rintocchi ci avevano fatto l’effetto dell’aperitivo, - “ Suor Agnese, ma noi abbiamo fame, quando è che si mang…….”, cercò di dire Francesco, che si era precipitato al portoncino: la vista che gli apparve lo lasciò senza parole, si girò verso di noi con le labbra aperte e stupìte e con un gesto della testa a dire “ entriamo”.


Il palco era stato liberato da tutte le “franzumaglie” che lo ingombravano, le cose erano state messe nel corridoio, separate per genere; le suore, che stavano spazzando, sembrava che fossero passate in un frullatore, perché fra cuffie e gonne niente era a posto se non un bel rosso - sudore che, posato sulle gote, le faceva sembrare delle bambole sciornie e brille o sciupate dal troppo uso.
La cuffia bianca della superiora che saliva dalle scale, divorate un’ora prima, venne preceduta dalla sua voce ancora carica di rabbia – “ Sorelle, prendete i bambini, lavateli le mani e portateli in refettorio". "E che stiano buoni, fra poco si mangia… !!!” – disse, guadagnando la porta laterale ed tirandosi dietro altre persone mai viste prime, vestite di bianco e nero e con degli strani cappelli in testa.
Lo stupore delle suore nel sentir parlare di pasti, quando ancora in cucina non c’era niente sul fuoco, le rese anche stralunate e con la faccia di chi vorrebbe dire ‘madovesiamoechefacciamo’.
Suor Rosa, percependo l’impaccio delle sorelle, le guardò nella loro stanchezza e, addolcendo i toni, disse, con ampi e lenti gesti delle mani a modellare improbabili silhouette, - “ Datevi una sistemata alle cuffie, alle sottane, andatevi a rinfrescare un attimo e andate a preparare il refettorio: porto io i bambini a lavarsi le mani” e guardando verso gli sconosciuti, continuò, aggiungendo un lieve sorriso,- “ Brave, avete fatto un bel lavoro, ma ora su, andiamo, non vi preoccupate per il cibo, abbiamo ospiti”.
Le nostre teste avevano occupato soltanto la parte bassa del portoncino d’ingresso, eravamo piccoli, ma la curiosità dei nostri occhi aveva analizzato tutto e seguito la scena con la frequenza della voce della superiora in maniera talmente evidente che all’“abbiamo ospiti”, eravamo già in fila per andarci a lavare le mani.
“Che strani cappelli, però” ci venne da pensare, guardando quegli strani copricapo che, ciondolando ora a destra ora a sinistra, apparivano e sparivano dal corpo eretto e scuro della superiora.
“Camminano e ciondolano. Ti pare modo?”, disse Francesco, che era dietro la suora.
Un dito imperioso lo ammutolì e gli indicò i lavandini; tutti lo seguimmo, pesticciando il guazzo che la faceva da padrone nei bagni e che aveva resistito a tutti gli idraulici ormai disamorati dal lavorare e avere in cambio un “Dio te ne renderà merito”.
Sguardi nascosti ci fecero intravedere che gli ospiti cappellati portavano delle 'guantiere' e, quasi spinti dalla superiora, andavano caracollando verso la cucina.
Chiusa la porta alle spalle dei cuochi, Suor Rosa ricompose la fila e, indicandoci il refettorio, disse “Si va a mangiare!”.
Il grande salone era stato trasformato, come ogni giorno, dalle suore e i piccoli tavoli blu, che servivano anche per dormire, erano stati trasformati, avvicinandoli quattro per volta, in grandi tavoli da pranzo: piccole sedie li coronavano con piccole stoviglie, piccoli bicchieri e piccole cupelle che posate su piatti piani colorati parevano disegnare fiori di loto in un lago.
Tutto era piccolo, là dentro, esclusa la fame e con la certezza che il prossimo colore, che sarebbe intervenuto in quel teatro sarebbe stato il giallo-sbiadito di una minestra che, come il solito, non avrebbe 'saputo' di niente e con l'aggravante che non si sarebbero mai conosciuti gli ingredienti.
Come la Coca Cola!
Le suore, che a grandi linee erano riuscite a rassettarsi e a mettere in ordine cuffie e sottane, guardavano ora la superiora, cercando di percepire qualunque indizio che potesse permettere loro di capire cosa stesse succedendo e cosa aspettassero quei bambini seduti, visto che in cucina, loro, non avevano acceso neanche un fuoco.
“E questi hanno fame!” disse Suor Agnese sottovoce, rivolgendosi a Suor Maria, che le stava in fianco.
“Pure noi” -le rispose la giovane suorina - “Co' sta sbardellata che c’è toccata oggi mangerei anche du' rovi e un pezzo di pane secco!”.
Mentre Suor Agnese cer…………
Scusate il ritardo, d’altronde qualcosa sta cambiando.
Fine terza parte
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MessaggioInviato: Lun Gen 31, 2011 11:00 am    Oggetto: Rispondi citando

Nooooooo!!!!, Non vale Very Happy Very Happy Very Happy Non puoi lasciarci così'... Very Happy Very Happy
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