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Dell'assedio di Porto Ercole senese et altra historia
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Nuovo argomento   Rispondi    Indice del forum -> La storia di Porto Ercole
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old.nick46
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MessaggioInviato: Ven Set 24, 2010 9:38 pm    Oggetto: Dell'assedio di Porto Ercole senese et altra historia Rispondi citando

INTRODUZIONE
ad uso del Lettore

Non è possibile parlare di Porto Ercole Senese senza avere, per prima cosa, narrato di Siena.
I primi tre capitoli di questo racconto trattano, molto sommariamente, di storia della Repubblica della Balzana.
La narrazione dei preparativi e dell' assedio di Porto Ercole sono preceduti da sette capitoli che riguardano il periodo che va da Roma alla prima metà del secolo XVI. Ho cercato di raccontare fatti storici dei quali Porto Ercole è stato: e protagonista e spettatore.
Vi sono molte date, ma la storia è fatta anche di date.....
Molti brani sono riportati in latino: alcuni sono stati tradotti, gli altri sono comprensibilissimi.
Ho voluto dilungarmi nel trattare la biografia di Piero Strozzi: Questo personaggio mi ha molto affascinato: e per la sua personalità e per la sfortuna che lo perseguitò nella Guerra di Siena. Infatti le sue migliori imprese avvennero al di fuori della Toscana.
Mi auguro che questa narrazione non annoi il lettore il quale, in caso affermativo, non dia la colpa a Piero, Chiappino, Giangiacomo, Blaisé o Cornelio: la colpa è soltanto mia....
L' augurio che mi faccio è che questa narrazione possa stimolare qualche giovane studente liceale o universitario ad approfondire gli argomenti trattati ed a rivedermi le bucce....
Se questo dovesse accadere, la mia modesta, ma nello stesso tempo faticosa impresa, avrebbe raggiunto il suo scopo.

CAPITOLO PRIMO
La repubblica di Siena

Secondo quanto scrive lo storico Malavolti, fin dal secolo X° Siena ottenne dall' imperatore Ottone III° la libertà e la possibilità di governarsi da se. Tali benefici furono confermati dagli imperatori Svevi man mano succedutisi e contribuirono a raforzare il legame tra questa Città e l' Impero.
Nei secoli seguenti Siena, per mezzo di trattati, acquisti, guerre e donazioni, estese il suo territorio finché nel 1303, acquistando il porto di Talamone dai monaci dell' Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, ebbe il suo sbocco al mare.
Nonostante l' invettiva di Sapià nel canto XIII del Purgatorio:
" Tu li vedrai tra quella
gente vana
che spera in Talamone e
perderagli
più di speranza ch' a trovar
la Diana
ma più vi perderanno
gli ammiragli "
durante il secolo XIV° Talamone diventa il principale scalo marittimo della Repubblica Senese che lo fortificò, ne sistemò il porto, lo munì di guarnigione e rese più sicure le strade che da Siena vi conducevano.
Nel 1414, i conti Orsini di Pitigliano cedettero alla Repubblica i territori di Orbetello e di Monte Argentario con Porto Ercole.
Nella prima metà del secolo XVI°, Siena dominava un territorio che comprendeva, grosso modo, le attuali province di Siena e Grosseto.
La posizione geografica di detto territorio lo rendeva strategicamente importante: in quanto situato al centro dell' Italia, tra lo Stato Fiorentino ed il Patrimonio di San Pietro, rientrava nelle mire che la Francia con i suoi re Carlo VIII°, Luigi XI° e Francesco I° aveva sull' Italia ed in particolare sul Regno di Napoli.
Dopo la battaglia di Pavia ( 24\02\1525 ) che vide Francesco I° re di Francia sconfitto e fatto prigioniero da Carlo V° imperatore e re di Spagna, a Siena la fazione dei " Noveschi " riottenne il potere e cercò di mantenere una politica di equilibrio tra Francia e Spagna.
I giorni del potere durarono poco, la fazione avversa, detta dei " LIbertini " si sollevò il 6 aprile 1525, uccise Alessandro Bichi, maggior esponente dei Noveschi, ed esiliò gli altri capi: una parte di questi si rifugiò a Firenze, l' altra parte nello Stato della Chiesa.
Sotto la spinta dei fuoriusciti Noveschi si giunse ad una alleanza tra Firenze ed il Papa Clemente VII° e venne preparata una spedizione punitiva contro Siena.
Mentre otto galee di Andrea Doria, ammiraglio genovese al soldo del Papa, trasportavano truppe alla conquista dei porti di Maremma. Porto Ercole e Talamone, occupandoli, le truppe di terra marciavano su Siena cingendola di assedio.....
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MessaggioInviato: Ven Ott 29, 2010 6:11 pm    Oggetto: Rispondi citando

Allora vi piace il primo capitolo? Devo andare avanti?
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MessaggioInviato: Sab Ott 30, 2010 5:35 pm    Oggetto: Rispondi citando

Si, è molto interessante...
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MessaggioInviato: Sab Ott 30, 2010 6:27 pm    Oggetto: Rispondi citando

Confermo, molto interessante, peccato mi fosse sfuggito alla pubblicazione e lo leggo solo ora. Continua.
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 12:23 pm    Oggetto: Rispondi citando

old.nick46 ha scritto:
Allora vi piace il primo capitolo? Devo andare avanti?


e certo che devi andà avanti Wink

Ciao J7
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Prima di GUARDARE si deve riuscire a VEDERE Wink
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 3:22 pm    Oggetto: Re: Dell'assedio di Porto Ercole senese et altra historia Rispondi citando

[quote="old.nick46"]INTRODUZIONE
ad uso del Lettore

Non è possibile parlare di Porto Ercole Senese senza avere, per prima cosa, narrato di Siena.
I primi tre capitoli di questo racconto trattano, molto sommariamente, di storia della Repubblica della Balzana.
La narrazione dei preparativi e dell' assedio di Porto Ercole sono preceduti da sette capitoli che riguardano il periodo che va da Roma alla prima metà del secolo XVI. Ho cercato di raccontare fatti storici dei quali Porto Ercole è stato: e protagonista e spettatore.
Vi sono molte date, ma la storia è fatta anche di date.....
Molti brani sono riportati in latino: alcuni sono stati tradotti, gli altri sono comprensibilissimi.
Ho voluto dilungarmi nel trattare la biografia di Piero Strozzi: Questo personaggio mi ha molto affascinato: e per la sua personalità e per la sfortuna che lo perseguitò nella Guerra di Siena. Infatti le sue migliori imprese avvennero al di fuori della Toscana.
Mi auguro che questa narrazione non annoi il lettore il quale, in caso affermativo, non dia la colpa a Piero, Chiappino, Giangiacomo, Blaisé o Cornelio: la colpa è soltanto mia....
L' augurio che mi faccio è che questa narrazione possa stimolare qualche giovane studente liceale o universitario ad approfondire gli argomenti trattati ed a rivedermi le bucce....
Se questo dovesse accadere, la mia modesta, ma nello stesso tempo faticosa impresa, avrebbe raggiunto il suo scopo.

CAPITOLO PRIMO
La repubblica di Siena

Secondo quanto scrive lo storico Malavolti, fin dal secolo X° Siena ottenne dall' imperatore Ottone III° la libertà e la possibilità di governarsi da se. Tali benefici furono confermati dagli imperatori Svevi man mano succedutisi e contribuirono a raforzare il legame tra questa Città e l' Impero.
Nei secoli seguenti Siena, per mezzo di trattati, acquisti, guerre e donazioni, estese il suo territorio finché nel 1303, acquistando il porto di Talamone dai monaci dell' Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata, ebbe il suo sbocco al mare.
Nonostante l' invettiva di Sapià nel canto XIII del Purgatorio:
" Tu li vedrai tra quella
gente vana
che spera in Talamone e
perderagli
più di speranza ch' a trovar
la Diana
ma più vi perderanno
gli ammiragli "
durante il secolo XIV° Talamone diventa il principale scalo marittimo della Repubblica Senese che lo fortificò, ne sistemò il porto, lo munì di guarnigione e rese più sicure le strade che da Siena vi conducevano.
Nel 1414, i conti Orsini di Pitigliano cedettero alla Repubblica i territori di Orbetello e di Monte Argentario con Porto Ercole.
Nella prima metà del secolo XVI°, Siena dominava un territorio che comprendeva, grosso modo, le attuali province di Siena e Grosseto.
La posizione geografica di detto territorio lo rendeva strategicamente importante: in quanto situato al centro dell' Italia, tra lo Stato Fiorentino ed il Patrimonio di San Pietro, rientrava nelle mire che la Francia con i suoi re Carlo VIII°, Luigi XI° e Francesco I° aveva sull' Italia ed in particolare sul Regno di Napoli.
Dopo la battaglia di Pavia ( 24\02\1525 ) che vide Francesco I° re di Francia sconfitto e fatto prigioniero da Carlo V° imperatore e re di Spagna, a Siena la fazione dei " Noveschi " riottenne il potere e cercò di mantenere una politica di equilibrio tra Francia e Spagna.
I giorni del potere durarono poco, la fazione avversa, detta dei " LIbertini " si sollevò il 6 aprile 1525, uccise Alessandro Bichi, maggior esponente dei Noveschi, ed esiliò gli altri capi: una parte di questi si rifugiò a Firenze, l' altra parte nello Stato della Chiesa.
Sotto la spinta dei fuoriusciti Noveschi si giunse ad una alleanza tra Firenze ed il Papa Clemente VII° e venne preparata una spedizione punitiva contro Siena.
Mentre otto galee di Andrea Doria, ammiraglio genovese al soldo del Papa, trasportavano truppe alla conquista dei porti di Maremma. Porto Ercole e Talamone, occupandoli, le truppe di terra marciavano su Siena cingendola di assedio.
Il 25 luglio 1526, l'esercito senese decise dei tentare una sortita in massa da Porta Camollia, prendendo di sorpresa l'esercito assediante; poi con l'aiuto dei popolani chiamati a raccolta dal suono delle campane di San Domenico e dal " Campanone " della Torre del Mangia, dette il colpo di graziaalle truppe pontificio-fiorentine che si dettero alla fuga, abbandonando sul terreno vettovaglie ed artiglierie.
La vittoria di Porta Camollia non pose fine alle tensioni esistenti a Siena: anzi le acuì, tanto che nell' ottobre del 1530, truppe spagnole, inviate da Carlo V preoccupato per la situazione creata, si acquartierarono in città.
Tra il 1530 ed il 1547, sia il Papa che la Francia e persino il duca di Castro Pier Luigi Farnese, approfittando delle continue lotte tra le fazioni dei Noveschi e Popolari, organizzarono congiure, ribellioni e tradimenti.
Nel 1543, il pirata Ariadeno Barbarossa, alleato di Francesco I° di Francia, assalì l'isola del Giglio e la Maremma, minacciando di fare di Porto Ercole una base per la sua flotta; fortunatamente questa impresa non gli riuscì.
Ciò non toglie che l' imperatore Carlo V°, preoccupato e per la minaccia dei Turchi e per le continue lotte che avvenivano in Siena e per sopra misura la cacciata del suo inviato Giovanni de Luna, decise di inviare, in qualità di commissario imperiale, don Diego Hurtado de Mendoza.
Don Diego giunse a Siena il 20 ottobre 1547 con 400 soldati spagnoli; all' inizio fu benaccolto in quanto da giovane aveva frequentato l' Università e la Nobiltà senesi, facendosi molti amici.
" In realtà - come dice il Douglas - il figlio del conquistatore di Granada nascondeva, dentro un guanto di velluto una mano di ferro: che il Mendoza si rivelò un astuto e ferreo esecutore della politica imperiale ".
Fu sufficiente un anno per far capire ai Senesi di quali panni vestiva don Diego. Il Mendoza fece venire a Siena una nuova guarnigione di spagnoli; questi esercitava soprusi e ruberie di ogni genere: sia sui cittadini che sulle loro proprietà.
Le proteste sempre più pressanti dei Senesi, fecero si che al Mendoza frullò per la testa di costruire una fortezza che raccogliesse le truppe del presidio: facendo credere ai cittadini che tale progetto veniva direttamente dall' Imperatore costretto a prendere tale decisione sia per evitare i fastidi arrecati alla popolazione dalle sue truppe, sia per proteggere la città da eventuali attacchi nemici.
Per i Senesi la costruzione di una fortezza avrebbe rappresentato una grave minaccia alle loro liberta ed indipendenza.
Numerose ambasciate, in varie riprese, furono inviate a Carlo V: i Senesi supplicavano l' Imperatore di rinunciare alla fortezza, la cui costruzione avrebbe rappresentato la fine della libertà di Siena e, nel contempo, garantivano provvedimenti e misure di sicurezza tali da rendere inutile una fortezza ed una guarnigione.
A seguito dei continui dinieghi di Sua Maestà, i lavori iniziarono l' 11 novembre 1550 e procedettero alacremente. Nel gennaio del 1551 le milizie spagnole aumentarono fia quasi a raggiungere il migliaio di unità e mal pagate o pagate in ritardo - cominciarono a dare - come ricorda il Sozzini - particolari segni di insubordinazione nella città e peggio nella campagna - : saccheggiavano i raccolti, entravano nelle case, rubavano, molestavano uomini e donne.
Nel febbraio del 1551, Carlo V ricevette l' ultima ambasceria dei Senesi; egli, si dimostrò indifferente alle suppliche degli ambasciatori, ma scagliò per terra e con disprezzo il memoriale presentatogli, profferendo queste parole: - Sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas -

CAPITOLO SECONDO
La cacciata degli Spagnoli e la Guerra di Siena (1552 - 1555)
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 4:54 pm    Oggetto: Re: Dell'assedio di Porto Ercole senese et altra historia Rispondi citando

old.nick46 ha scritto:
Sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas -

Che, per chi è a digiuno di studi, classici, significa..??
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 6:48 pm    Oggetto: Rispondi citando

sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas: così voglio, così decreto la mia volontà è a favore del progetto.
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 6:49 pm    Oggetto: Re: Dell'assedio di Porto Ercole senese et altra historia Rispondi citando

stefanobread ha scritto:
old.nick46 ha scritto:
Sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas -

Che, per chi è a digiuno di studi, classici, significa..??


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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 7:07 pm    Oggetto: Rispondi citando

old.nick46 ha scritto:
sic volo, sic iubeo, stat pro ratione voluntas: così voglio, così decreto la mia volontà è a favore del progetto.


in contemporanea due traduzioni un po' diverse, confesso che per la mia mi sono aiutato con google perché so un po' arrugginito e soprattutto qell'ultima espressione non avrei saputo come renderla.
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MessaggioInviato: Lun Nov 01, 2010 7:55 pm    Oggetto: Rispondi citando

CAPITOLO SECONDO
La cacciata degli Spagnoli e l' assedio di Siena
( 1552 - 1555 )


Nel momento in cui gli ambasciatori ritornarono a Siena con il rifiuto imperiale, la fortezza era già in costruzione ed i Senesi dovettero chinare il capo ed inghiottire l'amaro boccone.
Come spesso accade in questi frangenti, uno strano tipo: un monaco terziario dell' Ordine di S. Agostino, tale Brandano Carosi, iniziò, fra il popolo, a profetizzare la prossima fine della oppressione spagnola e cercò, addirittura di uccidere il Mendoza scagliandogli contro una pietra.
Contemporaneamente fuoriusciti senesi contattarono a Roma il cardinale di Tournon, ambasciatore francese, per cercare la protezione del suo re e quindi stipulare una alleanza.
Il Cardinale, consapevole che Siena sarebbe stata utile come base per eventuali operazioni militari nell' Italia centrale e meridionale, fece quanto era in suo potere per convincere Enrico II ( succeduto al padre Francesco I nel 1547 ) ad appoggiare una eventuale insurrezione.
Un valido aiuto il Cardinale lo ottenne dalla regina Caterina de' Medici, la quale odiava il cugino Cosimo I, duca di Firenze, ed a corte aveva dato rifugio a numerosi esuli fiorentini, i quali non vedevano l' ora di rientrare a Firenze, magari sulla spinta delle armi francesi.
Dopo avere avuto dal Re di Francia la promessa dell' invio di un contingente di truppe, i congiurati riunirono un migliaio di uomini armati nei pressi di Siena e, approfittando dell' assenza del Mendoza, il 27 luglio 1552 entrarono in città da Porta a Tufi, sollevando tutta la popolazione.
Francesco d' avila, luogotenente del Mendoza, nel frattempo, si era rinchiuso con le sue truppe nella cittadella. Dopo ben 17 ore di combattimenti, gli Spagnoli, accortisi che i Senesi stavano scavando una galleria per far saltare in aria la fortezza, decisero di arrendersi.
All' uscita degli Spagnoli da Siena fece da contraltare l' entrata delle truppe francesi comandate dal Maresciallo Paul de la Barthe, signore di Thermes.
Anche Porto Ercole fu abbandonata dalle truppe imperiali che si ritirarono in Orbetello. Circondata da tre lati dalla laguna, Orbetello era una piazzaforte ben munita dove una piccola guarnigione poteva resistere e sopravvivere ad un eventuale assedio: com ben dimostrarono gli Spagnoli che vi rimasero fino alla riconquista imperiale della Maremma nel 1555.
Non è intenzione dello scrivente dilungarsi sulla Guerra di Siena: il lettore che vorrà approfondire tale argomento, potrà leggere i numerosi testi che trattano compiutamente la materia, alcuni trovandoli indicati nella bibliografia.
Riteniamo, comunque, necessario accennare ad alcuni fatti d' arme che caratterizzarono l' anno 1553: la sconfitta degli Imperiali a Giuncarico ( 25 marzo ); l' assedio di Montalcino che gli Spagnoli non riuscirono a far capitolare ( 27 marzo - 15 giugno ); l' assedio di Orbetello che 1.200 armati Franco-Senesi non riuscirono a conquistare.
Nella notte fra il 26 ed il 27 gennaio 1554, le truppe Ispano-Fiorentine, comandate da GianGiacomo Medici marchese di Marignano e da Chiappino Vitelli, posero Siena sotto assedio.
Fu un assedio durissimo che durò per quindici mesi. In questo periodo la Francia inviò un Governatore nella persona del Maresciallo Blaisè de Monluc con pochi rinforzi in soldati e vettovaglie ( luglio 1554 ).
Per allentare la morsa su Siena, il Maresciallo Piero Strozzi, di antica famiglia fiorentina ed esule in Francia, con un esercito di 10.000 fanti e 1.000 cavalieri, cercò di invadere lo Stato Fiorentino ma, dopo alcuni successi, il 2 agosto 1554 a Marciano in Val di Chiana, il Marignano sconfisse lo Strozzi.
La notizia di questa battaglia vinta raggiunse, la sera dello stesso giono, il duca Cosimo mentre si trovava in Piazza S. Trìnita.
Alcuni anni dopo, per ricordare questo evento favorevole, il papa Pio IV, fratello del Marignano, inviò a Firenze una colonna di porfido prelevata dalle Terme di Caracalla. Questa colonna, pesante circa 90 tonnellate, fu caricata su di una zattera e trainata da una galea. Giunta a Porto Ercole la galea fu costretta a fare tappa, perché il comandante venne a sapere che una flottiglia turca, nascosta dietro l' isola di Giannutri, ambiva ad impadronirsi della colonna.
Il bravo capitano, dopo aver lasciato la zattera a Porto Ercole, decise di assalire gli sciabecchi turchi: uno lo affondò, mise in fuga il secondo e catturò il terzo liberando numerosi prigionieri cristiani. Il capitano riprese a traino la zattera e risalendo l' Arno raggiunse Firenze.
La colonna, che ancora oggi vediamo in piazza S. Trìnita, fu innalzata nel 1581, quando lo scultore Francesco Ferrucci detto il Tadda modellò la statuta della Giustizia che la sormonta.
La sconfitta di Marciano tplse le ultime speranze di vittoria ai Senesi i quali continuarono a sostenere l' assedio bravaamente.
Ormai ridotti a morire di fame, dopo aver consumato e mangiato di tutto: dalle erbe selvatiche ai topi, i Senesi intavolarono con Cosimo I trattative per la resa: questa avvenne il 21 aprile 1555.
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MessaggioInviato: Mar Nov 02, 2010 2:30 pm    Oggetto: Colonna di porfido Rispondi citando

Mi sai dire dove hai preso la notizia sulla colonna di porfido? Mi potresti inviarmi tutto il testo integrale ?
Grazie
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MessaggioInviato: Mar Nov 02, 2010 8:30 pm    Oggetto: Rispondi citando

CAPITOLO TERZO
La resa di Siena

La mattina del 21 aprile 1555, domenica in Albis, Siena si arrese all' esercito Ispano - Fiorentino che la assediava dal gennaio 1554.
Da Porta Nuova o Porta Romana - a buonissima ora - come riferisce il Monluc nei suoi Commentari, uscirono le truppe senesi incolonnate cinque per cinque con in testa il tamburo e le insegne. Sfilarono davanti alla fanteria spagnola, ai tedeschi ed ai trecento archibugieri italiano che , il Marignano, il vincitore, aveva schierato per rendere, bontà sua, l' onore delle armi agli sconfitti.
I Francesi uscirono per ultimi, insieme con numerosi gentiluomini: il maresciallo di Monluc comandante le truppe francesi ed il marchese Cornelio Bentivoglio comandante la fanteria italiana. Come era usuale a quei tempi soldati italiani erano sia al servizio degli Imperiali sia al servizio dei Francesi.
Il marchese di Marignano si fece loro incontro e, smontato da cavallo, abbracciò il Monluc e lo accompagnò per un lungo tratto sulla strada per Montalcino.
Il Monluc ed i suoi gentiluomini erano appiedati perché privi di cavalli in quanto, essendo finiti dal molto tempo il fieno necessario al loro mantenimento ed i viveri, fu giocoforza mangiare quelle povere bestie; comunque per non fare a piedi la strada per Montalcino, riuscirono a rimediare alcuni ronzini.
Insieme con i Francesi lasciarono la Patria 242 cittadini nobili con le loro famiglie ed altri 435 popolani armati, anch'essi con famiglie e servitù, tutti diretti a Montalcino dove avrebbero fondato, per continuare la resistenza contro gli Imperiali ed eventualmente riconquistare Siena o comunque conservare il più a lungo possibile la libertà, - La Repubblica di siena ritirata in Montalcino -.
L' assedio era stato talmente duro che lo sfinimento e la prostrazione, nei quali erano caduti i cittadini, fecero sì che una cinquantina di essi morirono durante il viaggio. Secondo testimonianze concordemente ripetute, ma non a fondo verificate, gli abitanti della città non arrivavano a seimila degli oltre quarantamila che abitavano Siena nel periodo di maggior affollamento.
Tra gli esuli, in massima parte dei " Popolari ", partirono anche : Mario Bandini, Capitano del Popolo, che portò con se i sigilli della Repubblica, Girolamo Spannocchi ed altri.
Il marchese di Marignano, insieme con Chiappino Vitelli, entrò in Siena in solenne parata, con squilli di trombe, rullii di tamburi e bandiere al vento, accompagnato dal suo Stato Maggiore e seguito da trecento cavalieri.
A sera gli Imperiali fecero gran festa in città con fuochi d'artificio e suono di tutte la campane - allegrezza - dice il Sozzini - quale a molti non entrava troppo dentro, ma fingendo si rallegrava -.
Conquistata Siena il Marignano si trasferì a Firenze per curarsi una malattia che di lì ad alcuni mesi lo avrebbe portato alla tomba.
L' esercito ispano - fiorentino, insediato in Siena, rimase, in attesa di ordini, sotto il comando di Chiappino Vitelli.
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MessaggioInviato: Gio Nov 04, 2010 1:29 pm    Oggetto: Storia di Porto Ercole - Capitolo Quarto Rispondi citando

CAPITOLO QUARTO
Preparativi per la presa di Porto Ercole
(Prime ricognizioni)

Mentre l' assedio di Siena volgeva al termine, il duca di Firenze Cosimo I° de' Medici era preoccupato per alcune informazioni che riferivano la flotta turca essere in navigazione verso Porto Ercole, tuttora in mano ai Franco-Senesi ed unico porto rimasto agibile per la Repubblica della Balzana.
Il duca paventava uno sbarco in forze dei Turchi i quali avrebbero risollevato il morale degli occupanti rifornendoli di viveri e soldati.
Tale sbarco avrebbe, senza dubbio, fatto decidere il re di Francia ad inviare quei rinforzi che, se giunti per tempo mentre l' assedio di Siena era in corso, avrebbero, forse, cambiato le sorti della guerra ed impedito la caduta della città.
Non bisogna dimenticare che, insieme con Porto Ercole, altre piazzeforti erano ancora in mano ai Senesi, fra le quali, Grosseto, Radicofani e Montalcino.
Il Medici, pertanto, decise che Porto Ercole doveva essere conquistata nel minor tempo possibile, in modo che l' armata Ottomana non potesse più sbarcare non avendo più un punto d'appoggio.
Per iniziare un assedio era indispensabile conoscere i luoghi, le fortificazioni e quant' altro necessario alla buona riuscita dell' impresa: quandi, su incarico del Duca, don Francesco di Toledo, fratello di Eleonora moglie di Cosimo, scrisse a Blas Vargas , maestro di campo ad Orbetello, ordinandogli di compiere tutti i sopralluoghi necessari per assediare Porto Ercole e di informarlo minuziosamente in breve tempo.
Il Vargas dispose, immediatamente, che i capitani Colliasos e Montedochas eseguissero la ricognizione dei luoghi.
I due, insieme con un gruppetto di soldati, si imbarcarono e, traversata la laguna di Orbetello, presero terra nei pressi della località detta, adesso Le Miniere.
Approfittando dell' oscurità e precedendo al riparo della fitta boscaglia, i soldati presero per il poggio Pimpinnacolo quindi discesero nella valle dei Molini e risalito il poggio delle Carbonaie che dominava Porto Ercole, trascorsero lì la notte.
L' indomani, dopo avere preso nota di quanto vedevano di fronte a loro ma, senza avvicinarsi di molto ( la prudenza non è mai troppa ), calata la notte, con il favore delle tenebre, ripresero la strada per Orbetello.
Sfortunatamente, durante il rientro, il gruppo si scontrò, verso il bivio per la Feniglia, con una compagnia di cavalieri e fanti franco-senesi che stavano rientrando a Porto Ercole dopo una perlustrazione.
Al termine della breve scaramuccia che seguì, i due capitani furono presi prigionieri mentre i soldati superstiti riuscivano a rientrare a Orbetello.
Il Colliaso ed il Montedochas furono condotti alla presenza di Piero Strozzi che aveva il suo comando nel forte della Galera e qui, dopo avere a lungo tergiversato, minacciati di torture e del taglio della testa ( lo Strozzi era uno che andava per le spicce ), riferirono tutto quello che sapevano.
Il Duca, venuto a conoscenza che la ricognizione dei due capitani non aveva avuto esito favorevole, decise di inviare due suoi architetti: Giovanni Pazzagli e Giulio Bombardieri ( milanese ), con la speranza che questa spedizione avrebbe avuto un esito migliore.
I due si imbarcarono a Piombino, doppiarono Talamone e sbarcati a Santa Liberata, si fecero condurre ad Orbetello. Qui giunti, insieme con delle buone guide, nottetempo, si diressero a Porto Ercole e, nonostante la sorveglianza, riuscirono ad avvicinarsi alle fortificazioni.
I due architetti notarono, con loro grande soddisfazione, che una altura elevata sovrastava un forte fatto erigere dallo Strozzi ( e per questo chiamato Strozzo o Stronco ); da questa altura, con una adeguata artiglieria, sarebbe stato facile battere il forte e conquistarlo.
Rilevata la pianta del forte e presa conoscenza delle altre fortificazioni esistenti, il Pazzagli ed il Bombardieri riuscirono a ritornare sani e salvi a Orbetello e di lì a Firenze dove convinsero il Duca che la presa di Porto Ercole era fattibile.
Il diavolo, come suol dirsi, fa le pentole ma non i coperchi: un pastore che aveva trascorso con le sue pecore la notte all' addiaccio, accortosi della presenza di estranei che si aggiravano con fare furtivo, l' indomani informò Piero Strozzi il quale, capita l' importanza dell' altura nel sistema difensivo di Porto Ercole, in breve tempo vi fece costruire un forte che chiamò S. Ippolito.
Delle difese di Porto Ercole, dei suoi nove forti, delle truppe incaricate di difenderli e dei loro comandanti ,parleremo diffusamente più avanti.
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MessaggioInviato: Sab Nov 06, 2010 8:29 pm    Oggetto: Storia di Porto Ercole - CAPITOLO QUINTO Rispondi citando

CAPITOLO QUINTO
In marcia verso Porto Ercole

Il duca Cosimo arresasi Siena e vista la relazione favorevole dei suoi architetti, venuto a conoscenza che l' armata turchesca stava per salpare e che lo Strozzi aveva iniziata la costruzione di S. Ippolito, decise di non frapporre indugi nell' attaccare Porto Ercole e, possibilmente, conquistarla in breve tempo.
Un corriere fu inviato a Genova al principe Andrea Doria affinché, quanto prima, conducesse la flotta a Livorno e lombarcativi grano, farina, fornai con i loro forni da campagna, altre vettovaglie e numerose artiglierie, portasse il tutto ad Orbetello.
Questa armata composta da 64 galee sbarcò una parte di munizioni e rifornimenti, destinati a Orbetello, alla foce del fiume Albegna; dopo di che cominciò ad incrociare al largo di Porto Ercole in attesa di sbarcare il resto e con il compito di impedire l'arrivo di soccorsi ai difensori franco-senesi.
Mentre il Doria attendeva alle sue incombenze, il marchese di Marignano, con il suo Stato Maggiore, partì da Firenze diretto a Pienza dove incontrò l'esercito comandato da Chiappino Vitelli, il quale tornava dalla conquista della Rocchetta di Val di Chiana: una fortezza, a detta di tutti, inespugnabile essendo situata sopra una montagna molto elevata.
Il Marignano passò in rassegna l' esercito schierato e dette ordini di pagare il soldo arretrato; dopo di che fece pubblicamente bandire che ciascun soldato portasse con se pane per tre giorni, in quanto, per arrivare a Porto Ercole bisognava attraversare boschi e terre dei nemici, dove era difficile trovare il vettovagliamento necessario; ordinò, inoltre, di lasciare bagagli e servitori affinché l' esercito potesse procedere più speditamente.
Finalmente l' armata si pose in cammino. Il Marignano aveva con se undici insegne ( compagnie ) di Tedeschi, precedentemente comandate da Niccolò Madruzzo colonnello imperiale, il quale in quella circostanza era assente e veniva sostituito dal conte di San Luca cavaliere lombardo; il maestro di campo Francesco d' Aro comandava nove insegne di Spagnoli; l' Adilentado, venuto dal Reame di Napoli, conduceva il suo tercio forte di dodici insegne, mentre il capitano alarcon, in sostituzione di don Lorenzo Figueroa ammalato, era a capo di cinque insegne.
Quanto sopra per quanto concerneva la fanteria.
La cavalleria comprendeva otto compagnie ed era comandata da Bartolomeo Greco, vecchio ed espero soldato ed intimo del duca Cosimo.
Il conte di Bagno svolgeva le funzioni di maestro di campo generale; mentre il capitano Gabrio Serbelloni, parente del Marchese, era generale dell' artiglieria: incarico che ave3va svolto per tutta la durata dell' assedio di Siena.
Il Marignano mosse da Pienza lunedì 20 maggio 1555 con questo esercito e dopo avere preso Castiglioncello si accampò nei pressi di Castel del Piano.
E' a questo punto della narrazione che noi, abbandonato il Marchese, lo precederemo nella sua destinazione. Qui giunti descrivreremo i luoghi che furono teatro dell' assedio. Prima ancora, però, cercheremo di illustrare, con le poche fonti storiche rintracciate, il passato di questo antico borgo marinaro che si chiama Porto Ercole.
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MessaggioInviato: Lun Nov 08, 2010 12:26 pm    Oggetto: Storia di Porto Ercole - Capitolo Sesto Rispondi citando

CAPITOLO SESTO
Porto Ercole nell' antichità
(Portus Herculis o Portus Feniliae?)

Il capitolo precedente si chiudeva con la promessa di illustrare il passato storico di Porto Ercole, cosa più facile a dirsi che a farsi.
Per il narratore trovare quelle poche notizie storiche che seguiranno, non è stato un compito facile.
Il periodo senese (1414-1555) è sufficientemente documentato ma, per i secoli precedenti, la ricerca si è fatta più difficile non avendo la possibilità di accedere a determinate fonti: sia perché lontane, sia perché onerose.
Confido nella pazienza e nella comprensione del lettore che vorrà seguirmi
in questo mio modesto ma faticoso sforzo.
Nel consultare alcuni testi storici che trattano di Roma antica e delle sue vicende dal I° secolo A.C. al V° secolo D.C., mi è sorto il dubbio che, con il nome - Porto Ercole - fosse chiamato il porto di Cosa, detto anche Subcosa, perché situato ai piedi del colle su cui insisteva la città medesima: oggi Ansedonia.
Il porto di cui trattasi era ubicato nella zona della odierna Tagliata; era molto ampio e di questo ne sono testimonianza, non solo i resti delle opera a mare, ma anche il sito degli scavi archeologici che, iniziati nei primi anni settanta, furono poco dopo sospesi e quindi abbandonati (chissà
per quale motivo!?!); la zona degli scavi è ancora visibile dietro la caserma della G.diF. della Tagliata.
Leggendo Tito Livio e Giulio Cesare risulta, in modo evidente, che il porto di Cosa è il solo citato in fatti di grande importanza storica, ma vediamoli in dettaglio: lo storico Mommsen, nella sua opera " Storia di Roma Antica",
nel capitolo primo del libro V°, parlando dell'insurrezione di Emilio Lepido contro Roma (77 a.C.), così narra - .... si venne a decisiva battaglia sul campo di Marte sotto le mura della città: ma Catulo vinse; Lepido, ridotto da due parti alle strette da Catulo e da Pompeo, tentò un' ultima volta la fortuna sulla spiaggia etrusca tanto per assicurarsi una ritirata, e poi si imbarcò nel porto di Cosa per recarsi in Sardegna...
Nel " De Bello Civili" al paragrafo 34 del libro primo, Cesare scrive .... Profectum item Domitium ad occupanda Massiliam navibus actuariis VII, quas Igilii et in Cosano a privatis coactas servis libertis colonis sui compleverat.... ( Domizio era ugualmente partito per occupare Marsiglia con sette navi da carico che aveva requisito a privati cittadini nell' Isola del Giglio e nel territorio di Cosa ed equipaggiato con propri schiavi, liberti e contadini).
Da quanto sopra risulta chiaro che il porto di riferimento è quello di Cosa, in quel tempo molto importante e, da non sottovalutare, più accessibile che non l' attuale Porto Ercole.
Comunque, una testimonianza importante la troviamo al paragrafo otto del libro V° dell' opera "Geografia" di Strabone, geografo vissuto tra la fine del I° secolo a.C. e l'inizio dell' Era Cristiana, dove sta scritto: - Dopo Populonia c'è la città di Cosa, che è situata a poca distanza dal mare: c'è, nel golfo, una collina elevata su cui sorge la città; sotto c'è il porto di ERACLE e, vicino una laguna.-
La descrizione di Strabone è, a mio parere, esauriente: il porto di Eracle è indubbiamente il porto di Cosa e la laguna citata è quella di Orbetello ma, potrebbe essere anche l' attuale lago di Burano il quale, a quei tempi era molto più esteso di adesso.
Ma quale era, dunque, il nome dell' antica Porto Ercole? Secondo alcuni studiosi, fra i quali il Cardarelli ed il Picherle, il vero nome, molto probabilmente, era Portus Feniliae, ossia il porto della Feniglia.
Lo stesso Rutilio Namaziano, poeta romano, che nel 415 d.C. lasciò Roma e imbarcatosi percorse costa-costa il tragitto fino in Galli, nella sua opera poetica " De Reditu", giunto in prossimità di Cosa in questo modo la descrive: - Scopriamo da mare le antiche incustodite rovine e le squallenti mura della deserta Cosa,
provo vergogna a narrare, fra tante serie memorie, la ridicola causa di questa estrema rovina, ma duole nascondere un fatto che suscita riso.
Si dice che un giorno costretti a partir gli abitanti lasciaron le case infestate dai topi. Ma creder piuttosto ....
Non lungi da qui raggiungiamo il porto che d'Eracle a nome.
Un venticello più dolce segue il giorno al tramonto.
Fra le rovine di un campo di guerra il discorso rinnova la fuga precipitosa di Lepido nella Sardegna. -
Anche Rutilio Namaziano chiama il Porto di Cosa: Porto Ercole.


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MessaggioInviato: Lun Nov 08, 2010 1:34 pm    Oggetto: Rispondi citando

Old.Nick.......GRAZIE Very Happy Very Happy

Ciao J7
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LIKE A ROCK
Prima di GUARDARE si deve riuscire a VEDERE Wink
01000111 01101001 01101110 01101111 - 01000110 01101001 01101111 01110010 01100101 01101110 01110100 01101001 01101110 01101001
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MessaggioInviato: Mar Nov 09, 2010 1:42 pm    Oggetto: LA STORIA DI PORTO ERCOLE - CAPITOLO SETTIMO ( Prima parte ) Rispondi citando

CAPITOLO SETTIMO
Porto Ercole nell' antichità tra Roma e Siena
(Bizantini, Longobardi e Franchi)

All'inizio del V° secolo d.C., gli approdi di Cosa: Portus Herculis e Portus Feniliae, insieme con Talamone, vengono utilizzati da Roma per il commercio con Genova.
Quando Rotari, re dei Longobardi, conquista "La Superba", Roma inizia a commerciare con la Spagna attraverso le rotte che conducevano in Sardegna e in Corsica.
I porti sopracitati subiscono un ridimensionamento, venendo usati solo per il piccolo cabotaggio per il trasporto di prodotti agricoli e sale.
Durante le guerre: Greco-Gotica (535-553) prima e Longobardo-Bizantina
(554-604)poi, i Bizantini, a difesa di Roma e dell'antica via Aurelia, istituiscono un distretto militare al confine tra la Tuscia Romana e la Tuscia
Longobarda, con sede in Orbetello.
Per questa difesa furono fortificati: Talamonaccio, Cosa ed i suoi porti e nel Grossetano, sulle colline di Grancia, prospicienti il corso del fiume Ombrone, il Castrum di Poggio Cavolo.
Di questo insediamento bizantino sono state trovate tracce e reperti si a Cosa, sia a Talamonaccio, sia a Poggio Cavolo.
Una valida testimonianza è data dalla epigrafe rinvenuta a Cosa e conservata ad Orbetello.
Al termine della guerra Longobardo-Bizantina, dell'originale Patrimonio di San Pietro, pervenuto al Papato, secondo una leggenda, da una fantomatica "Donazione di Costantino" (il cui documento fu dichiarato falso, nel Rinascimento, dall'umanista Lorenzo Valla), poco ne era rimasto: solo Roma e l'Agro che la circondava.
Per il periodo Longobardo - Carolingio le poche testimonianze archeologiche e documentarie sono controverse e di difficile interpretazione.
Distrutti Cosa ed il suo porto, nulla vieta che i superstiti si siano trasferiti nella zona del Portus Feniliae al quale, in seguito, abbiano mutato il nome in Portus Herculis.
Nel novembre dell'anno 753, Papa Stefano II° lasciò Pavia per recarsi in Gallia ad incontrare Pipino, re dei Franchi, al quale chiedere aiuto e protezione dall'invadenza del re longobardo Astolfo.
Ai primi di dicembre, valicato il Gran san Bernardo ricoperto di neve, il papa ed il suo seguito giunsero all'Abbazia di san Maurizio dove avrebbe dovuto tenersi l' incontro con Pipino.
Il re mandò a dire che l'incontro si sarebbe avuto a Ponthion, l'antico Pons Hugonis, altra residenza reale.
Il giorno dell' Epifania dell' anno 754 avvenne l'incontro fra il Papa ed il Re.
Tra la primavera e l' estate dello stesso anno, si tennero numerosi incontri e conferenze, al termine dei quali il Papa, in san Dionigi, unse con l'olio sacro e consacrò, in nome della Santissima Trinità, Pipino a re dei Franchi e con i figli Carlo e Carlomanno - Patricii Romanorum -.
In cambio Pipino si dichiarò difensore di " Sancti Petri et Sanctae Dei Ecclesie" e confermò al patrimonio di san Pietro i possedimenti di cui alla Donazione di Costantino.
Carlo Magno, dopo avere sconfitto i Longobardi e riaffermata la decisione del padre Pipino circa il Patrimonio di San Pietro, nell' anno 805, insieme con papa Leone III°, costituì il Comitato di Ansedonia, ossia il vasto e ricco Agro Cosano, infeudandolo alla Abbazia delle Tre Fontane, dedicata al culto del martire persiano S. Anastasio e situata a Roma presso la via Laurentina - " ubi sanctus ac Beatus Paulus decollatus fuit in loco qui appellatur ad Aquas Salvias".- ( Dove il santo e beato paolo fu decapitato nel posto chiamato Acque salvie).
Il " Privilegium concessioni set donationis" inizia così - Leo episcopus servus servorum Dei et Carolus Magnus et plus rex, nullo prohibente nec contraddicente, se propria nostra voluntate, concedimus, tradimus et per paginam aeream exaurata in perpetuum donarus tibe Beati Christi Martyr Anastaxi et pro Te tuoque Monasterio, quod est positm ad Aquam Salviam, idest totam et integram civitatem qua ab omnibus vocatur Ansidonia insimul cum portu vocatur Feniliae, item et portum qui dicitur Herculis, vecton montem totum qui vocatur Gilium infra mare mlliaria centum, et montem qui vocatur zannuti, et totum montem qui vocatur Argentarium.... item et castrum quod vocatur Orbitello, cim stagnio et piscaria iuxta se te cum suo saline.... item et Maxiliano et montem qui vocatur Euti -."
Come abbiamo visto, il territorio oggetto della Donazione è l' Agro Cosano con Ansedonia ed i suoi porti; Orbetello con la sua laguna, le peschiere e le saline; il Monte Argentario; le isole di Giglio e Giannutri e, nell'interno, Marsiliana e Monteti.
Leggiamo in questo documento in lingua latina ma, facilmente comprensibile, gli esatti confini della Donazione Carolina.
" - A primo latere est Mare Magnum et infra vero aquas maris quae sunt milliaria centum et Montem Gilli et montem qui vocatur Jannuti qui sunt prefati vestri Monasterii; et a secondo latere est fluvius qui vocatur Alvenia, et a tertio vero latere pergit aqua quae dicitur Elza, et deinde pergiti usqua ad locum vocatur Scerpena, et a quarto latere sicut eventi per Scerpena et pergit per pedem Montis Arsitii et vadit per Piscia et venit per Buranum et revertitur usque ad praefatum Mare Magnum.-"
Come detto sopra, il documento è facilmente compresibile ma, lo vogliamo riassumere: ad ovest cento miglia di mare Tirreno con le isole di Giglio e Giannutri; a nord il fiume Albegna: ad est il torrente Elsa ed il castello di Scerpena; a sud-est il Montauto ed infine a sud il fiume Pescia ed il lago di Burano.
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MessaggioInviato: Mar Nov 09, 2010 6:20 pm    Oggetto: LA STORIA DI PORTO ERCOLE - CAPITOLO SETTIMO ( Seconda parte Rispondi citando

In seguito ad altri diplomi ed investiture si aggiunsero i castelli di Tricosto, Capalbio e Stachilagi.
A questo punto della narrazione mi sorge una domanda: perché il - Portum
qui dicitur Hercole - è collegato con - Ansidonia - e non menzionato quando si parla del - totum Montem qui vocatur Argentarium? - non sarebbe stato più corretto dire - Ansidonia insimul cum portu qui vocatur Feniliae - e poi - totum Montem qui vocatur Argentarium insimul cum portu qui vocatur Herculi - ? Lascio al lettore l'onere e l'onore di una risposta.....
Per quale motivo si arrivò alla Donazione?
Secondo la leggenda, S.Anastasio, invocato da Carlo Magno durante l'assedio di Ansedonia, mandò un improvviso e violento terremoto che ne squassò le mura ed atterrì i difensori Longobardi, permettendo al re franco di conquistare la località senza colpo ferire.
Il - Privilegium Donationis - che abbiamo letto più sopra, fu trovato tra le carte dell'Abbazia delle Tre Fontane, da uno studioso: tale Ughelli che lo pubblicò su - Italia Sacra tomo I°.-
Alcuni studiosi, fra i quali il Muratori ed il Muhlbacher, hanno ritenuto il documento apocrifo e frutto di una tardiva e piuttosto grossolana falsificazione e, certamente, compilato alcuni secoli dopo.
Infatti è dalla seconda metà del secolo XII° che i beni del Monastero vengono menzionati nelle Bolle Pontificie, delle quali, la più antica pervenutaci, è quella di Alessandro III° nel 1161.
Come mai, in quel periodo, il Papa sente il bisogno di riaffermare il diritto, da parte della Abbazia,su quelle terre?
Perché il possesso era contestato dagli imperatori del Sacro Romano Impero, eredi dell'Impero Carolingio, i quali ritenevano il Comitato di Ansedonia come loro feudo e quindi nel diritto di farne l' uso che volevano.
Nel 1136, Pietro Farnese, uomo d'arme e marinaio, giunge dalla Puglia, nel mare Tirreno, con alcuni vascelli. Il suo scopo è di rientrare in possesso del suo feudo chiamato - Castrum Farneti - che comprendeva Montalto, Latera, Ischia di Castro, la laguna di Orbetello ed il Monte Argentario. Tale feudo era stato concesso ai suoi avi Orvietani dall' imperatore Ottone I° di Germania e gli era stato, poi, tolto per punizione di avere, il Farnese, aiutato il Papa contro i Ghibellini di Toscana.
Ma non solo: nella Dieta del 9 luglio 1162, Federico I° Barbarossa concede
ai Pisani tutta la costa tirrenica da Porto Venere a Civitavecchia, come se fosse libero di didporre totalmente di essa, ignorando i poteri che vi venivano esercitati dall' Abbazia delle tre Fontane. Anche il figlio, l'imperatore Enrico IV°, nel 1191, conferma ai Pisani il privilegio paterno.
Il Comitato di Ansedonia, come abbiamo visto, viene disputato continuamente tra il Papato e l' Impero.
E' a questo punto che, in questa disputa si inserisce una terza forza: gli Aldobrandeschi.
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MessaggioInviato: Dom Nov 14, 2010 9:46 pm    Oggetto: Rispondi citando

Com'è, continuo o mi fermo qui?
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