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RELAZIONE SUI CANI DEI CACCIATORI DI CINGHIALI

 
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Autore Messaggio
ursula
Principiante
Principiante


Registrato: 08/12/03 15:41
Messaggi: 47
Residenza: porto ercole

MessaggioInviato: Mer Feb 04, 2004 5:21 pm    Oggetto: RELAZIONE SUI CANI DEI CACCIATORI DI CINGHIALI Rispondi citando

RELAZIONE SUI CANI DEI CACCIATORI DI CINGHIALI
La legge 281 del 14 agosto 1991 chiama i cani "animali d'affezione". Non li distingue
in categorie: cani da caccia, cani da compagnia, cani da guardia, ecc.
Ma i cani dei cacciatori di cinghiali non sono animali d'affezione, sono soltanto e
semplicemente strumenti per uccidere come i fucili, le battute e l'organizzazione di
una squadra di caccia. In quanto strumenti e non esseri viventi, non sono considerat
degni rispetto. Le leggi di tutela, nazionali, regionali, comunali, non vengono applicate
per i cani dei cinghialai.
Il maltrattamento è diffuso, standardizzato, sclerotizzato al punto che questi cani
nessuno li vede, sono invisibili, anzi, tutti li vedono ma nessuno li considera esseri
viventi.
Condizioni dei cani dei cacciatori di cinghiali nella stagione estiva.
In Maremma, ovunque ci si muova, si faccia una passeggiata, ai bordi dei paesi, alle
periferie delle città, in mezzo ai campi, nelle pinete e nella macchia, isolate, nascoste,
si incontrano baracche di legno putrido e lamiere, protette da cancelli, circondate da
reti, oscurate da teli verdi, inaccessibili alla vista se non fosse per le fessure e gli
squarci.
In ognuno di questi canili abusivi, che sono centinaia, vengono rinchiusi anche più di
cento cani, soprattutto piccoli seguci, spinoncini, meticci di questi. Sono i cani dei
cinghialai, allevati e utilizzati per la caccia al cinghiale.
Cani lasciati soli, prigionieri di gabbie di un metro e mezzo per due con tre o quattro
animali, costretti al letargo forzato tutto il giorno e tutti i giorni per l'intero periodo di
chiusura della caccia. Ci sono cani rinchiusi in box completamente al buio, come
murati vivi.
Il sole crea temperature insopportabili d'estate e i cani non hanno difesa neppure
all'ombra delle basse, spesso inconsistenti tettoie dove il calore ristagna a causa delle
lamiere da cui sono circondati. A volte la tettoia è tanto piccola e trasparente da
permettere un'ombra illusoria.
Ma ci sono cani che non hanno neppure questa protezione e sono sottoposti al sole
diretto perchè legati a catena fissa, corta poco più di un metro, la quale consente loro
soltanto di saltare dal tetto della cuccia fino a terra e viceversa. Questi cani sono
costretti a cercare un'impossibile sollievo stringendosi nella parte in ombra della loro
cuccia o scavando una buca, profonda al massimo quindici centimetri, sotto di essa.
Le cucce sono ripari rudimentali di legno marcio e infetto, bidoni di lamiera, oggetti
precari. I recinti sono fatiscenti, messi insieme con materiali di ogni tipo, anche
lamiere di eternit. Le fogne sono inesistenti, gli escrementi e i resti di cibo putrefatto
si ammassano sul terreno che non può essere decentemente lavato perchè manca di
pendenza, di pavimentazione, di scoli. La derattizzazione viene effettuata senza
precauzioni (si notano cumuli di sostanze chimiche ai bordi dei recinti) e i topi
avvelenati catturati dai cani possono risultare a loro volta venefici.
L'ambiente dove sono ammassati i cani risulta pertanto un luogo igienicamente
precario, un pericoloso serbatoio di microbi per gli animali e per l'uomo.

Colpisce in modo particolare l'assenza dell'acqua o la visione di liquido putrido in fondo
ai secchi, conoscendo l’esigenza di bere dei cani e considerando soprattutto le
condizioni in cui sono costretti a vivere. Sono quasi del tutto assenti i recipienti per il
cibo. Pagnotte di pane secco e pezzi di pizza giacciono per terra tra gli escrementi.
Eccezionalmente si distinguono nella polvere resti di crocchette e, ancora più
eccezionalmente, pastoni di pane bagnato con avanzi di pomodoro, piselli e bucce di
mele.
La cosa che più sconvolge è però la solitudine, la segregazione di questi animali,
l'isolamento fisico e psicologico, la mancanza di rapporti e di contatti con l'uomo, la
costante inedia, il tedio, la cupa tristezza che si legge nei loro occhi. Esclusa la caccia
invernale, la loro esperienza di vita è unicamente quella catena o i pochi metri di terra
sporca. Un estraneo che si avvicini ai recinti riscontra all'inizio atteggiamenti
aggressivi, denti in mostra, abbaiare furioso, salti contro le reti, a volte schiumare
dalla bocca. Poi invece, i cani si ritraggono, quasi fuggono, con la coda tra le gambe, il
loro atteggiamento diviene timido, di soggezione, temono perfino. Sono
contemporaneamente aggressivi e paurosi e questo suggerisce l'idea che siano
maltrattati dai proprietari sia per l'addestramento alla caccia che per insensibilità e
spietatezza come si può constatare dai dialoghi fra cacciatori sui siti internet sulla
caccia.
Stremati dai tanti pasti saltati, dalle ferite riportate, dalle numerose cucciolate
partorite, dalle infinite angherie sopportate, questi cani sono il simbolo della barbarie
umana riconosciuta come sport e addirittura chiamata arte.
Il concetto di benessere animale, secondo i parametri fisiologici, ecologici ed etologici
suggeriti da vari studiosi (Dr. Roberto Marchesini, Dr. Enrico Moriconi) per questi cani
non soltanto viene ignorato ma arrogantemente sostituito da un costante e
consolidato maltrattamento.
Le condizioni dei cani durante la stagione invernale
Durante l'attività venatoria i cani sono frequenti vittime di incidenti, spesso anche
molto gravi, a volte mortali. Indicativo è il fatto che circa il 70% degli studi veterinari
organizza, nel periodo di caccia, turni serali e festivi.
La vita media di un cane da caccia al cinghiale è assai breve, si parla di circa 6 anni.
Questo è da imputare alle numerose ferite che vengono procurate all'animale durante
la battuta di caccia e alle carenti o tardive cure che gli vengono prestate.
Lo studio effettuato dall'Università di Pisa nell'anno 2000 su 118 cani feriti, è
eloquente. I 118 cani hanno riportato 170 ferite, prevalentemente profonde.
Tale studio è supportato anche dalla relazione di bilancio di una squadra tipica
follonichese dove, in un periodo compreso tra il 14 novembre 2002 e il 23 gennaio
2003, molti cani della muta sono stati ripetutamente operati (quasi sempre per ferite
profonde). I cani curati negli studi veterinari non sono la totalità, che è sempre in
auge l'abitudine di “rattoppare” personalmente il proprio animale. (Sito dal quale puoi
stampare la relazione dell'università di Pisa sulle lesioni da cinghiale nel cane:
www.vet.unipi.it/new/strutture/biblioteca/annali2001/pdf/241.pdf)
Alla fine di ogni battuta di caccia restano sul territorio una miriade di cani sparsi che
non sempre è possibile recuperare e che frequentemente capita di trovare sul ciglio
della strada, investiti da un'auto. Ma anche per quelli feriti può essere compromessa la
salvezza in quanto restano a lungo senza soccorso. Sappiamo che molti animali
vecchi, inabili, incapaci, sventrati o mutilati vengono sommariamente soppressi con
una fucilata. Alcuni sono stati trovati impiccati nei boschi.

LA CACCIA AL CINGHIALE
Tale sequela di espressioni e azioni, viene chiamata sport. I cinghiali vengono uccisi
con fucili che sparano proiettili equivalenti, come calibro, a quelli militari da guerra. Gli
animali, alloctoni (importati dai paesi dell'est), pesanti fino a 150 kg, che si sono
anche ibridati con i maiali procurando una sorta di inquinamento genetico, immessi
irresponsabilmente a migliaia dai cacciatori per la loro attività venatoria, hanno
sopraffatto il cinghiale autoctono di 70 kg compatibile con gli habitat nostrani. I
cinghiali alloctoni, avendo dimensioni notevoli, non sono ovviamente sottoposti a
selezione naturale da parte dei predatori e quindi continuano a riprodursi senza
controllo.
Questi cinghiali vengono accusati di determinare situazioni di pericolo per le persone,
le opere, le attività agricole e la viabilità stradale e perciò si promuovono crociate per
la loro uccisione (chiamata eufemisticamente e ipocritamente: prelievo, abbattimento)
anche durante i periodi chiusi alla caccia. Per evitare questa caccia in deroga, che
aggiunge crudeltà a crudeltà, durante la quale si uccidono scrofe gravide, lattanti,
piccoli, indiscriminatamente, si potrebbero attuare interventi incruenti come installare
depositi d'acqua vicino alle colture da proteggere, predisporre aree con foraggiamenti
dissuasivi, delimitare zone con recinzioni elettrificate, provvedere alla contraccezione
ma, soprattutto, vietare il trasporto di cinghiali vivi. Nella sola regione Piemonte sono
attivi, per esempio, 144 allevamenti.
Brevi cenni sulle battute di caccia al cinghiale
La battuta di caccia al cinghiale si svolge in giorni fissi, su indicazione degli ambiti
territoriali di caccia di pertinenza. Sommariamente può essere descritta così:
cinghiali sono animali dalle abitudini notturne, di giorno stanno rintanati nella
boscaglia. Pertanto, ampie porzioni di territorio vengono circoscritte da cacciatori alla
'posta' mentre i battitori, una volta tracciate le piste, lanciano i segugi verso le prede,
per spingere i cinghiali verso i cacciatori appostati. Per legge non si può sparare agli
animali con 'munizioni spezzate', cioè cartucce a pallini o pallettoni (un cinghiale ferito
diventa molto pericoloso) ma solo con proiettili 'a palla'. Si tratta quindi cartucce con
potenza maggiore rispetto alle cacce tradizionali. Inoltre i cinghiali spesso vendono
cara la pelle, rivoltandosi contro ai segugi che li braccano e talvolta ferendoli con le
loro zanne.
Grande attenzione va posta, da parte dei cacciatori, sia per quanto riguarda il loro
campo di tiro, sia per i movimenti nella boscaglia, in luoghi spesso scoscesi, dove
anche una scivolata o una caduta può avere effetti pericolosi e talvolta tragici. Per ciò
che concerne i possibili incidenti di caccia, le battute al cinghiale presentano dunque
un indice di pericolosità più alto rispetto ad altri tipi di caccia vagante.
Non va dimenticato tuttavia che si sono verificati incidenti di caccia dovuti a
disattenzioni di altro genere: ad esempio causati da una cinghia del fucile con fibbie o
attacchi difettosi e conseguente caduta dell'arma i cui colpi possono scattare, per
effetto del rimbalzo sul terreno, anche se il fucile era 'in sicura'. Per questo i buoni
cacciatori controllano costantemente l'efficienza dell'arma. (Dall’articolo de “La Nazione” di
Forlì - “Sparare al cinghiale, l'attività venatoria più pericolosa”)

DESCRIZIONE DI ALCUNI CANILI DELLA TOSCANA VISITATI DA VOLONTARI
ANIMALISTI.
Località Valli (Follonica), vicinanze del castello. Direzione: attraversando la strada che
costeggia il cimitero si prosegue sempre dritto dove comincia la strada sterratta (c'è un podere
marrone sulla destra). Proseguendo sempre dritto (direzione parco di Montioni e tiro al
piattello) si incontra una zona collinare dove vi sono numerosi orti al cui apice si erge il castello
di Valli. Ancora a dritto si vedere un cavalcavia in prossimità del quale, verso destra, si dirama
una stradina in salita all'imbocco asfaltata e per il resto a sterro con un segnale di divieto di
sosta. Il primo lotto di terreno situato sulla destra della stradina è adibito a canile. Condizione
dei cani: 4 cani (meticci da cinghiale) di cui uno molto magro, legati a catena fissa di circa un
metro e mezzo di lunghezza. I cani hanno come riparo una cuccia di dimensioni e forma molto
rudimentale (travi di legno). Al momento della visita nessuno aveva la ciotola contenente
acqua nè quella per il cibo ed erano visibilmente infestati da un nugolo di zanzare. Più avanti si
udivano altri cani nei box che latravano. I cani non hanno un riparo adeguato in caso di
intemperie (gelo, pioggia, ecc.) essendo legati alle loro cucce fatiscenti ed essendo le stesse
poste a cielo aperto senza un telone o altro paramento. Nello stesso fondo sono presenti
rottami di elettrodomestici.
Località Salciaina (Follonica). Accanto a un maneggio si trova un pastore tedesco dell'età
stimata di 4-5 anni rinchiuso in una baracca fatiscente (travi spezzate e alcune marce), al buio.
Fuori c'è una specie di orticello incolto quindi in apparenza sembra che il luogo sia
abbandonato. Accanto staziona un van per trasportare cavalli. Nella via attigua c'è un box di
altezza circa 1,5 metri completamente rivestito di eternit dal quale si sente latrare un cane.
Zona Acquapark (Follonica). Si tratta di un sobborgo. La prima strada si chiama Via dei
Cacciatori, poi la Via n. 2......ecc. Lungo queste stradine sterrate parallele (circa sei o sette) ci
sono orti e canili (nonchè un gattile). Le condizioni sono le stesse di tutti gli altri canili dei
cacciatori: recinzioni con reti che oscurano e nascondono (si può vedere dai buchi), cani isolati,
chiusi in piccoli recinti, anche 4 in due metri per due, ciotole dell'acqua vuote o contenenti
acqua putrida gialla, pane secco buttato per terra, anche fili interi. Prigionia totale, perpetua. Il
copione è immutato, queste le varianti peggiori: nella Via dei Cacciatori, all'inizio a destra, due
cani maremmani di cui uno che abbaiava in modo inquietante tra il lamento e la rabbia,
mostrava i denti con un comportamento decisamente minaccioso e aggressivo mentre l'altro se
ne stava fermo, silenzioso, impaurito. Questi due cani avevano l'acqua gialla nel secchio,
niente cibo e sotto il sole cocente (ben oltre trenta gradi), una tettoia trasparente e
inconsistente che a fatica faceva un'ombra sbiadita per la misura di un cane. Nella Via n. 2, in
fondo a sinistra, tre cani di cui uno zoppo, chiusi in un recinto di 1 metro per 2 con il resto di
un pasto di croccantini buttati per terra. Nell'ultima strada c'è l'allevamento di cani da caccia,
alcuni lasciati liberi nello spazio davanti ai recinti, gli altri chiusi anche in 4 in un recinto
piccolo. Nella penultima strada ci sono recinti totalmente oscurati con i cani quasi murati. A
questi animali si nega tutto: l'acqua, una ciotola per contenere il cibo, un riparo dal sole
cocente. (o dalla pioggia e dal gelo invernale).
Zona Valli (Follonica), sotto i viadotti dell'autostrada. Canile chiuso da un telo verde. I cani si
vedono dalle fessure. Senza acqua, pane secco per terra ma soprattutto, cani legati a catena
fissa, corta, senza riparo dal sole. Uno si era infilato nello spazio di 15 centimetri scavato sotto
la cuccia; un altro si appoggiava alla fiancata della cuccia che restava un po' in ombra (ma al
sole delle 13 l'ombra non poteva esserci).
Zona Valli (Follonica), traversa sterrata dell'Aurelia. In uno stretto recinto con vegetazione
stanno due cani legati a catena fissa di cui una così corta che permette al cane soltanto di
salire e scendere dal tetto della cuccia.
Località San Martino (Grosseto). Canile dei cacciatori. I recinti, anche di 2 per 2 metri con 2 o
3 cani, sono disposti in file regolari. Davanti ci sono i campi di sgambatura ma i cani forse ci
restano il solo tempo necessario alla pulizia dei recinti. Il terreno è del comune e i cani sono
tanti. Cancello e rete di recinzione tengono fuori gli estranei. L'intenzione è suffragata anche
da un cartello che avverte: "Chiunque non sia socio non può entrare pena la denuncia per
violazione di proprietà". Dal cancello non si può notare se i cani abbiano cibo e acqua. Il "canile
dei cacciatori" a Follonica, adiacente al canile dell'ENPA, dove sono rinchiusi più di cento cani, è
stato filmato dal giornalista Emilio Nessi alla fine dell'agosto 2002.
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