Argentario Futuro NormalWriter


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Inviato: Dom Apr 18, 2010 11:36 pm Oggetto: quando le acciuche facevano i bolliconi |
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Quando le ‘acciuche’ facevano i bolliconi..
Acciughe freschissime, una cipolla , olio di oliva anzi di frantoio, aglio, sedano, carote, peperoncino, salsa di pomodoro (concentrato), vino bianco secco.
Prendere le acciughe, togliere la testa e gli intestini e lavarle bene. Mettere un mezzo bicchiere d’olio, la cipolla tritata, far rosolare. Tritare sedano, carote, peperoncino, l’aglio e aggiungere il tutto alla cipolla rosolata. Poi aggiungere un pochino di salsa sciolta in un bicchiere di vino. Lasciare evaporare e, togliendo la pentola dal fuoco, aggiungere le acciughe facendole prendere il sapore del soffritto rimescolandole un poco. Rimettere tutto sul fuoco, a metà fiamma, e cuocere per una mezz’ora, aggiungendo al bisogno acqua calda: non bisogna più rimestare le acciughe altrimenti si rompono. A cottura finita aggiungere pane abbrustolito e farne una zuppa.
Questa appena descritta è la ricetta della zuppa di acciughe ed appartiene alla tradizione genovese: fate due più due ed il risultato sarà Lungomare Andrea Doria, ovvero l’Ammiraglio che era al comando della flotta che ‘stazionava’ nelle acque di Porto Ercole ai tempi della Storia. Con i suoi marinai che intrecciavano le loro esperienze con i pescatori napoletani che già vivevano nel nostro Paese (nel 1327 si trova nei libri della Chiesa il primo Costagliola Francesco , chissà dove è segregata la storia di Porto Ercole).
La storia culinaria portercolese ha un gioiello che deriva dall’incrocio di culture e di povertà: la minestra di acciuche a pezzi con spaghetti spezzettati.
Le differenze riguardano la mancanza di cipolla, di aglio, due pisellini non ci stanno male, un germoglio di finocchietto selvatico, un po’ di pomodoro e soprattutto le acciughe, di cui non dobbiamo avere il riguardo di spezzarle perché storicamente arrivavano nella minestra già spezzate.
Al posto del pane si usano spaghetti spezzati alla bene meglio: anche dietro ciò c’è una storia.
C’è un modo per raccontarla, ricominciare da capo; dagli anni 40/50.
Le menaite o zaccarelle rappresentavano per Porto Ercole una fonte di lavoro e di economia per una comunità che aveva da sempre vissuto di pesca. Chi oggi parla, sciacquandosi la bocca, di turismo ed altre menate deve sempre ricordare che la Porto Ercole migliore l’hanno costruita, con sacrifici, i pescatori, zaccarellai e paranzellai.
Le zaccarelle erano la palestra di allenamento dei giovani per poi imbarcarsi sulle paranze e il luogo dove ci si abituava a far finta di non soffrire di mal di mare. In quel periodo, anni 50/60, non era permesso di avere in casa un nullafacente e lo spirito di sacrificio era inversamente proporzionale al vuoto che oggi avvolge i giovani e le loro famiglie: tanta voglia di lavorare allora, tanta voglia di niente oggi, senza generalizzare ovviamente.
Erano barche zeppe di giovani che facevano a gara a fare bene per imbarcare, poi, sulle barche migliori e più redditizie; il pagamento veniva effettuato in base al pescato e frazionato in maniera decrescente,dall’armatore all’ultimo dei ragazzi.
Stanchi di una notte di lavoro ma pronti ad inzupparsi in un mare che non era più nero come quello del cielo buio di luna, appena passato, e quando sulla spiaggia vedevano le bolle, andavano ad avvisare l’armatore: “all’acquadolce le acciuche hanno fatto i bolliconi!” E la notte, orfana di Luna, arrivava presto in un giorno consumato velocemente dalla speranza dei ragazzi di avere dato l’indizio giusto di dove calare la rezza; e magari un cenno di considerazione del capopesca li avrebbe fatti sentire importanti.
Quando le luci al carburo illuminavano quel mare nero di lunanuova e, sotto la luce, sardine e acciughe impazzite dall’acqua di nuovo chiara si raggruppavano in massa vicino la zaccarella, i ragazzi facevano scattare i muscoli freschi di gioventù per portare con la piccola lancia di appoggio quanto serviva per chiudere in quell’enorme coppo che era la rezza quel bendidio.
Quello che si poteva vedere sulle loro labbra sembrava un ghigno di fatica, ma forse era il sorriso di chi aveva visto giusto, all’acquadolce, facendo il bagno.
Dal quel momento tanti coppi più piccoli iniziarono a svuotare dalle acciughe il coppo più grande dove danzavano pesci d’argento ingannati dalla luce artificiale del carburo.
E man mano che il sacco si vuotava, tante mani panneavano la rezza per impicciolire il sacco che conteneva i pesci, fino al recupero totale.
Più calate potevano essere fatte in una notte, il pesce veniva scaricato e i mezzi della Cirio trasportavano il pescato per la trasformazione ed allora altre mani di donna finivano il lavoro.
Quando le prime ‘ombre’ d’alba annunciavano alle acciughe che era stata, per loro, una tragica notte di finzione di luce, le superstiti recuperavano le nere acque di mezzo mare e …….ci sarebbero ricascate: il dove, forse, l’avrebbero indovinato i ragazzi.
La luce del giorno si accendeva con il profumo di pesce azzurro, fresco, saltellante; magari più tardi le sardine infilzate in spiedi di canna tagliata ‘lìperlì’,(muri di canne c’erano vicino all’orto di babbaleo per la strada che portava alla cirio) arrostite sul fuoco acceso sulla spiaggia avrebbero avvertito con il loro profumo i pescatori che era l’ora della colazione e donne vestite di nero avrebbero fatto capitare un po’ di cipolla fresca, filoncini di pane appena sfornati e vino,tanto.
La rezza sarebbe già stata sistemata e liberata dai “Mozziconi di acciughe” spezzate e che avrebbero
rappresentato la ‘posta’ di pesce che ogni donna avrebbe portato a casa per fare la minestra. E qui torna la storia della nostra minestra.
E la pasta? Oggi abbiamo cattive abitudini, andiamo alla ‘coppe’ e troviamo pacchi di spaghetti n° 1, 2, 3 che ci dicono che ½ kilo di pasta deve bastare per 7 persone, questione di salute e di forma.
Bar Piazzetta, Tropix.
Allora c’era la Bottega, prima dei Di Sauro e poi gestita da Marietta, dove la pasta, gli spaghetti erano lunghi e stavano in cassetti lunghi.
Non tutti potevano permettersi la pasta intera, anzi, non si potevano permettere neanche la pasta e le donne vestite di nero che passavano di lì , su per l’archetto, senza saperlo ma volendolo, si giravano verso la bottega nella speranza di avere la fortuna di…beh molto spesso e poi sempre la fame loro e della famiglia trovò occhi di riguardo.
I rosumi di spaghetti che restavano sul fondo dei cassetti diventarono i loro carboidrati.
La minestra di Mozziconi di acciuche e di rosumi di spaghetti.
Questa è la storia, per gli altri ingredienti ognuno aveva un orto.
E i ragazzi, gli uomini che andavano a desinare la trovavano bella calda ma la trovavano anche i giorni dopo: d’altronde non sempre c’erano rosumi di spaghetti. Eppoi, fatela, è buona anche il giorno dopo, anche fredda.
E vi ricorderà quei giovani che lavoravano con allegria sperando di trovare di meglio, magari una paranza, il massimo punto di arrivo.
Per poi , magari, raccontare ai propri figli di quando dovevano andare a Sgalera a staccare la corteccia rossa dei pini, tritarla finemente e portarla da Tubetta perché lì si faceva la tinta delle rezze delle zaccarelle. L’acqua bollente diventava rossa e le reti ci venivano immerse. Poi si mettevano ad asciugare sul lungomare dal bar di ’Lora’ fino alla Sanità e se non c’era posto iniziava un processione laica e, come tanti sherpa, su verso la Spianata e i macchioni si coloravano delle reti messe ad asciugare. Erano reti lunghissime, immaginatevi il lungomare e Montefilippo e la Spianata. E, se proprio non vi riesce immaginarlo, fate la minestra, forse ne sentirete almeno il profumo e vedrete la fatica gioiosa di quei ragazzi che si tuffavano per vedere se “ le acciuche facevano bolliconi”.
P.s.:Ascoltare ' Le acciughe fanno il pallone' dal cd "Anime Salve" F. de Andrè. E' obbligatorio averlo ed ascoltarlo; le storie liguri sono vicine a quelle dei nostri pescatori. _________________ fatti non fummo a viver come bruti.
Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato. |
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