Argentario Futuro NormalWriter


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Inviato: Sab Mar 26, 2011 9:57 pm Oggetto: |
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Quarta parte
Mentre Suor Agnese cercava di richiamare la giovane suora all'umiltà e anche il suo stomaco borbottava di là dalla Regola, si sentì uno sferragliamento dalle parti della cucina.
La Superiora, in preda ad uno stato di euforia e con occhi che brillavano di soddisfazione, aprì le porte del refettorio, facendo entrare gli 'ospiti' in una processione di mestoli, guantiere fumanti e di sorrisi sudati.
Quello che si percepiva era qualcosa mai sentito e che le narici, colpite dai vapori che sprigionavano dai piatti di portata, cercavano di catalogare.
D'altronde, abituate come erano ad annusare la solita minestra che non sapeva di niente, dovevano resettare tutte le conoscenze, poche, che avevano ed imparare l'alfabeto della cucina da capo, partendo da 'aglio' fino ad arrivare a 'zucchero'.
“Mettete il tavolo grande in mezzo, così i cuochi potranno appoggiare il tutto sopra e sarà più agevole fare i piatti”- disse la Superiora alle suore, che si mossero rapidamente, tale era la curiosità e... la fame.
Mentre facevano quanto comandato, cercando di vedere sotto i cenci di cucina cosa ci fosse, un gesto veloce dei cuochi scoprì alla vista di tutti un fumante pasticcio, rosso di sugo e di carne segnato da venature bianche.
Occhi stupìti attivarono stomaci languenti, l'acquolina cominciava a tracimare da bocche affamate: a questo punto anche noi bambini partecipavamo allo sdilinquimento.
Tutto sarebbe stato migliore di quanto frequentato nel passato e questo nuovo spettacolo ci avrebbe aperto nuovi orizzonti e, soprattutto, riempito... lo stomaco.
Con maestria i cuochi iniziarono a trasferire nelle cupelle quel bendiddio: incidevano e tagliavano con una paletta il pasticcio, sollevavano il pezzo di pasta che, prima di finire nel piatto, sembrava opporre resistenza legandosi alla teglia con lunghi fili, elastici e bianchi.
Erano molto veloci e, altrettanto velocemente altre persone, vestite di bianco ma senza pennacchi in testa, posavano i piatti sui nostri tavoli.
'Clapclap'. Il battito di mani della superiora era il segnale della preghiera e, oggi, anche il momentaneo ma lunghissimo attimo di distacco da quella bontà.
“Signore ti ringraziamo per il cibo che ci hai concesso e doniamo questo momento a tutti quelli che, bisognosi, patiscono la fame, Dio sia lodato!”- disse la Superiora.
“Seeempre sialodato”- rispondemmo, mangiandoci la versione originale della formula di lode, tanta era la fame e la voglia di affondare la forchetta nel piatto.
“E oggi non si ringrazia, né tanto meno si dona niente a nessuno, neanche il momento, perché chissà a noi quando toccherà un'altra volta una simile meraviglia”- disse Attilio, sogghignando e cercando di assaporare quella delizia.
Non ce la fece, perché Suor Rosa, con la faccia che gli era diventata rossa come il sugo, lo prese per un orecchio e lo accompagnò fuori la porta, nel corridoio.
“Famo a capissi” – disse, in perfetto slang, la superiora- “qui nessuno fa niente se non lo dico io e nessuno ha detto di sedervi, né tantomeno bisogna mancare di rispetto anche alla più stupida delle formule per una forchettata di cibo”. Ci guardava e sembrava avvolgerci con un occhio solo mentre l’altro le serviva a tenere sotto controllo la situazione.
Attilio era riuscito a farla inacidire nei nostri confronti, d’altronde la sua condizione di eterno affamato non era compatibile con gli slanci umanitari e con le lodi di prassi.
Per lui era vivere come in un sogno anche quando mangiavamo la minestra che non sapeva di niente; nulla poteva fermare la farfalla che “abitava” nella sua pancia e che lo portava, in maniera compulsiva, a trasformare in commestibile qualsiasi cosa che fosse masticabile e molte erano state le sue rappresaglie nei nostri ‘cestini’ al fine di mettere qualcosa sotto i denti.
Mentre i nostri occhi cercavano di scrutare la cosa nel piatto, il cui profumo, semmai ce ne fosse stato bisogno, faceva gorgogliare i nostri stomaci ormai al collasso, Suor Rosa ci invitò a sederci e a stare un attimo a braccia conserte.
“Oggi non voglio più arrabbiarmi” - mormorò la superiora e, volgendosi verso la porta, con un gesto della mano, invitò ad entrare nel refettorio un signore alto, elegante, un po’ allampato – “Questo è il Signor Aristide, il padrone dell’ Albergo-ristorante ‘Villa Consani’, ha pensato di donare a voi ed a noi suore il mangiare che oggi allieterà il desco del nostro asilo. Lui resterà con noi ed alla fine, vista la fame che aleggia, ci dirà due parole, ora ringraziamo”.
Il nostro grazie, un po’ dodecafonico, fu quanto di meglio avessimo mai prodotto in tre anni di canti e di “SialodatoGesùCristo”, più che l’amor potè la fame, aveva già sentenziato Dante nella Divina Commedia.
“Ora mangiate, anzi, mangiamo”- disse Suor Rosa e la sua voce fu sopraffatta dal mulinare di forchette.
E quel giorno ebbero molto da fare, le forchette, per smaltire la sfoglia al forno, la cotoletta alla milanese, la macedonia e il tronco con il cioccolato.
Ebbene sì, il Signor Aristide ci aveva fatto conoscere tutte queste pietanze gustose, ce ne parlò dopo mangiato, ci invitò a visitare il suo albergo insieme alla superiora.
Sarebbe stato il menù che in seguito noi avremmo incontrato, per la seconda volta, nei ristoranti, vista la moda di non fare più il pranzo di nozze nelle case.
Per Attilio, invece, sarebbe stato la prima volta perché lui rimase nel corridoio a mangiare due fette di pane con la mortadella e mezza mela, in ginocchio in un angolo, in punizione.
Imparammo che in certi casi è meglio tener la bocca chiusa per aver l’opportunità di aprirla quando serve; lui, Attilio, non cambiò e continuò a ‘abbaiar per fame’ anche dopo e il suo Nord fu il mangiare più che il disquisire.
Il Signor Aristide aveva realizzato, in una bella palazzina in stile ligure, un’attività ricettiva che comprendeva un albergo con alcune camere e un ristorante.
All’esterno la struttura aveva una pista da ballo che d’estate si riempiva di freschi abiti di crinolina che danzavano: era un modo che avevano o veniva dato alle giovani degli anni ’50 per liberare l’energia vitale in un mondo ricco di prospettive e scacciare gli ultimi ricordi di una guerra di fame appena finita.
C’erano anche gli uomini, giovani, che sembravano cascati in un bidone di brillantina Linetti e che seguivano con occhi puntuti, attraverso il fumo di una nazionale posteggiata in modo guappo all’angolo della bocca, le evoluzioni di belle ragazze prorompenti nella gioia e nelle forme.
Il 1953 prevedeva distinzioni rigide nei ruoli, della specie “guardare e non toccare”, e, infatti, le donne, le ragazze ballavano fra loro anche se sguardi rapidi e fugaci sapevano dove incontrare le attenzioni dei maschi che rilevavano il contatto avvenuto con il gesto di una mano che, con fare fascinoso, era passata, a dita aperte, fra i capelli.
E c’era anche chi doveva controllare il comportamento delle giovani, le ragazze andavano a ballare accompagnate da una persona di fiducia, laddove non ci fosse direttamente la mamma.
Poiché gli uomini, babbi nonni e così via, non partecipavano, per “manifesta superiorità” al controllo, solo le mamme potevano permettere alla propria figlia di ballare con un giovane.
Era il segno dei tempi, dell’ipocrisia di una decisione già presa in famiglia e demandata alla moglie, era l’inizio del ballo della vita: i due giovani, che si erano occhieggiati nelle feste precedenti, avevano avuto il consenso per il fidanzamento.
Da Aristide si ballava, si formavano le coppie e si facevano i matrimoni e qualcuno vi si appartava…
Oggi, dove una volta si cantava, si ballava e dove sbocciavano gli amori, c’è Villa Consani, il condominio; con una enorme unghiata è stato cancellato un luogo di sogno e di ricordi.
Alle atmosfere gioiose che animavano i luoghi di Aristide si è sostituito il silenzio di appartamenti vuoti, catene e divieti di accesso.
Quel giorno del ’53 Aristide salutò tutti, fra genuflessioni delle suore, un grazie a due mani della superiora e il nostro ringraziamento corale comandato da Suor Rosa e sparì, seguito dal codazzo di cuochi e camerieri, dalle nostre frequentazioni assidue per rimanere un ricordo nella nostra mente.
I rimasugli sarebbero stati ad appannaggio delle suore, un inserviente sarebbe venuto a ritirare il giorno dopo la guantiera che li conteneva.
I vecchi dicevano che a tavola prese moglie un frate e a noi, ‘abbituati’ a mangiare sbroscie, tutte quelle novità culinarie ci avevano cancellato la cognizione del tempo, anche se acuito una nuova sensibilità delle papille gustative.
Per noi grandi che avremmo lasciato l’asilo per tuffarci nel mondo di ‘aste’ della scuola elementare fu un ultimo giorno sottolineato da sapori nuovi….
“Ora tutti a lavarsi le mani, poi in fila ‘ché è quasi l’ora di uscire”- disse la Superiora- “ci vedremo domani pomeriggio alle tre per la recita e cercate di fare i bravi, domattina, perché le vostre mamme verranno qui all’asilo per preparare la sala”.
“ E’ vero,”- pensammo- “ domani c’è la recita e avremmo dovuto aspettare anche questa per dire ‘ciao asilo, diventiamo grandi’.
E un saluto convinto sarebbe andato alla minestra che non sapeva di niente, alle cattedre chiuse e senza aerazione, alle pinquine tonacate, ai bagni orfani di idraulici, ma anche ai butti di rovi, alla fossa da inumazione, al sapore terraceo e muffoso delle carrube, alle braccia conserte ed ai sonni scomodi.
E poi il fatto che il giorno dopo non saremmo andati all’asilo di mattina ci avrebbe permesso di riprendere confidenza della Spianata, il nostro “farveste”; c’era da fare un sopralluogo alla ficaia della mi’ nonna, si avvicinava il tempo della ‘campagna d’estate’ e dovevamo verificare lo stato dei rami che ci avrebbero permesso di fare gli archi e di quelli più piccoli per fare gli stoppaccini da mettere sulle cannucce dei succhiamelli per rifinire le frecce.
Allora non ci rendevamo conto che quei momenti, l’asilo e tutto il resto, ce li saremmo ricordati più tardi e la nostalgia accompagnata alla malinconia si sarebbe mescolata alla rabbia e alla disillusione per quanto avremmo incontrato nella vita da grandi.
E avremmo pensato, con un sorriso, alle ‘bucature’ di rovi’, alla minestra senza niente e alle ginocchia perennemente sbucciate. Avremmo ricordato la libertà condizionata dell’asilo ma lontana dalle preoccupazioni di ogni giorno, percepite nella ricerca continua di coniugare il pranzo con la cena, dalle liti giornaliere a gola piena che avevano come teatro le viuzze delle Grotte e per attrici donne anche giovani ma già vecchie, foderate di vestiti neri e di rancori antichi derivanti da ‘fratte’ spostate di centimetri e da ‘tiricordiquellavoltache”. Gli uomini non litigavano fra loro, anche questo era demandato al sesso femminile che avrebbe poi riassunto le baruffe ai mariti, la notte, a letto. D’altronde le donne ‘servivano’ nel senso di utensili, altoparlanti, e servitù varie.
Le piccole invidie, il saluto tolto per anni e ritrovato ai funerali comuni, famiglie di cugini che sposavano cugini intrecciando interessi labili, piccole ricchezze, grandi povertà e rancori pieni, la voglia di sfuggire alle sceneggiate dove anche l’irrazionalità era urlata in piazza: l’asilo ci aveva preservato dalle farse della vita quotidiana, ora avremmo dovuto imparare a conoscerla, la vita, cercando magari di ripulirla dai cascami di tempi vecchi e fermi.
Ma domani ci sarebbe stata la recita: una cosa ‘farsa’ per raccontare cose vere.
Ps. "La recita" chiuderà 'sta storia.
Altre ne seguiranno nel mio percorso del "Ricordare": so dove, senz'altro come, giorno dopo giorno. Perchè chi sa del Nostro passato, ha l'obbligo morale di trasmettere agli altri, magari più giovani, le storie che appartengono alla Nostra memoria e servono a ricostituire la nostra Cultura. Ci manca, in certi momenti.
"Sono uno del gruppo di amici che ha chiesto di attivare la sezione "Idee per Porto Ercole". E' l'ora di lavorare per un progetto che vada 'da Terrarossa al futuro".
Questo scrivevo più o meno un anno fa per rappresentare, insieme agli altri, un'idea al servizio di tutti i cittadini che volessero disegnare il 'Paese che vorrei'. Ora quella idea annunciata sta cercando di diventare realtà.
Lunedì scorso, Argentario Futuro ha avuto la sua prima riunione costitutiva.
Si incomincia a camminare: per chi volesse farci compagnia in questo percorso verso un futuro possibile, chiedere a:
arg.futuro@gmail.com
E' stato bello raccontare ora c'è da lavorare, per chi vuole.
Salute e saluti, grazie per l'attenzione che mi è stata concessa. _________________ fatti non fummo a viver come bruti.
Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato. |
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