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Creato domenica 20 maggio 2001 18.24



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Un isola di nome "Barr Musa kebir"

Alle 7,15 circa del mattino il battellino entra in un piccolo golfo a circa 5 miglia a nord-ovest di  Ras Kasar, stremati fino all'impossibile toccarono terra.
Dopo aver nascosto il battello i tre cominciano ad inoltrarsi nell'interno alla ricerca disperata di acqua non sono ancora in Eritrea per cui anche la cautela è d'obbligo, durante il cammino incontrano un villaggio e immediatamente vengono subito in contatto con un indigeno, enorme, arrabbiato, minaccioso e con una scimitarra in mano. Sandroni cerca in tono amichevole di avere acqua da lui in qualche lingua ma alla parola "moia" finalmente il gigante a cui si unirono altri anche esse armati, capì il bisogno impellente di quei tre disperati. Ancora diffidenti gli indigeni forniscono un otre di pelle pieno di un acqua sporca e fetida ma ne bevvero quanta ne poterono sotto lo sguardo ancora diffidente degli indigeni.


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Si allontanarono rapidamente, verso il battello, Paolo si soffermò su questo episodio. "Forse quello è stato il momento più pericoloso, non conoscendo gli usi e costumi dei sudanesi poteva bastare un gesto o uno sguardo inopportuno per essere scannati in pochi secondi e nelle condizioni in cui eravamo non potevamo nemmeno né scappare né difenderci"
Recuperano il battello, escono dal golfo e riprendono il cammino verso sud, ma alle
22 restano ancora una volta insabbiati su una 

secca, a questo punto decidono di fermarsi e mentre aspettano la marea si riposano un po'.
 
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